“È mattina presto, ma vi confesso che questa notte non ho dormito. Ho passato le ore a rileggere i dati, regione per regione, a cercare di capire come e perché il Governo abbia deciso di usare misure così diverse per situazioni in fondo molto simili”. Così scrive su Facebook il presidente della Giunta della regione Piemonte Alberto Cirio, all’indomani della decisione del governo.
Invece di rigirarsi nel letto avrebbe potuto farsi un giro degli Ospedali della regione – magari avvalendosi dell’esperienza e delle conoscenze dei suoi collaboratori dirigenti della sanità piemontese – per constatare di persona una situazione che da qualche giorno è al limite del collasso. Non già, come nella prima fase dell’epidemia, per la mancanza di posti in rianimazione e nelle terapie intensive, più semplicemente nei reparti ordinari e nei Pronto Soccorso. Avrebbe avuto contezza del fallimento di tutte le misure che lui e la sua giunta hanno messo in campo per gestire una situazione non facile.
Il 60% delle famiglie torinesi è formato da una sola persona: cosa si fa quando ci si ammala, anche non gravemente? O il medico di famiglia ti cura a casa e ti manda all’ospedale solo se ti aggravi, o ti affida alle mitiche Usca, oppure ti dice di andare al Pronto Soccorso. La terza, nello sfascio della sanità pubblica, è quella più praticata durante questa fase dell’epidemia.
Se la notte insonne del presidente fosse stata destinata al tour degli ospedali, avrebbe trovato medici e infermieri che gli avrebbero chiesto che fine avessero fatto le nuove assunzioni, le attrezzature, gli alberghi per curare i non gravi, le direttive ai medici di base, a volte un po’ troppo ponziopilateschi, le direttive necessarie a organizzare al meglio il servizio. Gli avrebbero chiesto anche delle code chilometriche per i tamponi, degli esiti che arrivano una settimana dopo, dei mancati protocolli che impegnassero la sanità regionale (anche gli uffici amministrativi) a compiti di supporto e assistenza alle scuole che si organizzavano via via per rispondere in sicurezza alle riaperture.
Invece lui ha fatto e rifatto i conti – quelli su cui il governo ha deciso – ha preso le misure ai suoi colleghi presidenti per esternare imbarazzanti comparazioni, relegate d’abitudine alle adolescenze maschili. Nessuna assunzione di responsabilità, come pretenderebbe la sua carica, solo il tentativo maldestro di distogliere l’attenzione dal disastro piagnucolando per un trattamento che disegna come punitivo nei confronti suoi e della sua regione.
Nel panorama dei presidenti al tempo del Covid, Cirio è sempre rimasto un passo indietro rispetto ai fenomeni di Lombardia, Campania e Liguria, una specie di via di mezzo fra Zaia e Bonaccini. La sua regione, pur pesantemente toccata dalla diffusione del virus, ha a lungo veleggiato fra il quarto e il quinto posto, così che l’attenzione dei mass media si concentrava sulle altre messe peggio. Ora è sbocciato anche lui: insieme all’aggravarsi della situazione del Piemonte reagisce come un bambinetto beccato dalla mamma a mangiare la Nutella (mice per niente ha cominciato la sua carriera politica nella Lega proprio come vicesindaco di Alba).
Già in emergenza, appariva qua e là a dire cose e a inaugurare fiere e sagre, intanto che il suo assessore alla Sanità progressivamente spariva dai radar forse sperando di non farsi travolgere dall’emergere di inefficienze quotidiane sempre più gravi: a epidemia avanzata si scoprì che i casi denunciati dai medici di famiglia mediante il fax (!) non arrivavano a destinazione perché nessuno aveva sostituito la carta degli apparecchi, solo per dire. E poi le forniture, il collasso delle strutture, insomma tutto ciò che ben si sa.
Ha anche costituito un comitato che avrebbe dovuto occuparsi della gestione dei protocolli, degli acquisti e delle assunzioni. Ci ha messo anche il Direttore Generale della ASL To3, il plurinquisito dottor Boraso, che ancora oggi è apparso al tg regionale per minimizzare la notizia di malati sdraiati per terra nel Pronto Soccorso della Asl di cui è Direttore Generale; raccontando con naturalezza che trattavasi di due persone che alle 3 del mattino stavano ancora sulle carrozzelle e che, perciò, erano state fatte accomodare per favorirle.
Le sceneggiate dei presidenti delle giunte danno, più di tante analisi, il senso di una classe politica allo stremo. Come per tutti i suoi colleghi, a volte ben accompagnati da sindaci valletti e parvenus in carriera, anche Cirio ha un problema grosso, quello di essere palesemente inadeguato. Come lui gran parte del personale politico un po’ di tutti gli schieramenti, prodotto di una selezione almeno ventennale che oggi rivela tutta la sua tossicità in un paese che avrebbe tanto bisogno di competenza, lungimiranza e umiltà.
La pandemia è davvero il crash test della politica e della società, Cirio sta diventando anche lui un modello da manuale. Solo che paghiamo noi, i piemontesi.