I posti letto di terapia intensiva e dei reparti Covid in Campania lievitano all’improvviso, in poche ore, cambiando denominazione (da 'disponibili' ad 'attivabili') rischiano di diventare materia di un fascicolo giudiziario. Per il momento la procura di Napoli smentisce l'apertura di un'inchiesta, ma il faro è acceso. Gli infermieri: "Dati allarmanti e scarso rispetto delle regole, servono misure severe"
I posti letto di terapia intensiva e dei reparti Covid in Campania lievitano all’improvviso, in poche ore, cambiando denominazione rischiano di diventare materia di un fascicolo giudiziario. Perché quei numeri hanno determinato – e continueranno a farlo – la collocazione nella zona gialla a minor rischio di diffusione del contagio, fascia che a breve potrebbe cambiare colore con l’aggiornamento del monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità riferito settimana tra il 26 ottobre e il 2 novembre.
E così diverse fonti sostengono che la procura di Napoli ha accesso un faro sui dati che la Regione trasmette al ministero della Salute. Un fascicolo conoscitivo, senza indagati né ipotesi di reato, che sarebbe sulla scrivania del pm Mariella Di Mauro, già coordinatrice di diverse attività investigative sull’emergenza Covid a Napoli, dalle anomalie degli appalti intorno agli ospedali modulari fino alle presunte truffe intorno alla somministrazione di tamponi di scadente qualità. Un’ipotesi che dagli uffici giudiziari smentiscono: “Nessuna iniziativa è stata assunta né tanto meno annunciata”, scrive in una nota il procuratore capo Giovanni Melillo.
Quella di Napoli non sarebbe la prima procura a muoversi su questo terreno. Pochi giorni fa si è attivata quella di Genova, dove fonti investigative hanno spiegato che è in atto un’attività di verifica sui dati “e se siano corrispondenti alla realtà del nostro territorio”, dopo aver visionato le numerose immagini di pazienti in ambulanza in attesa per ore prima di riuscire ad accedere agli ospedali. Immagini che si sono viste anche a Napoli: lunghe file di ambulanze davanti all’ospedale Cardarelli, all’ospedale del Mare di Ponticelli, al Cotugno, al San Leonardo di Castellammare di Stabia, pronto soccorso in tilt per ore a causa delle degenze Covid sistemate precariamente, con divisori di fortuna, attraverso percorsi di ingresso non in sicurezza.
Una situazione che fa a cazzotti con i bollettini quotidiani dell’Unità di crisi regionale, che raccontano di ‘soli’ 1.817 posti letto occupati rispetto ai 3.160 ‘disponibili’, tra cui 186 in terapia intensiva su 590 approntati. La domanda quindi è: se esistono più di un migliaio di posti liberi perché si attendono ore davanti agli ospedali prima di essere ricoverati? Attenzione alle date. Il 5 novembre i posti letto comunicati dall’Unità di crisi erano 1.940 (e quelli in Ti 243), e sono aumentati di circa 1.200 in una sola notte, apparsi nel bollettino del giorno dopo. Cosa significa? È tutto nella parola ‘disponibili’, che da un po’ nei report ha sostituto la parola ‘attivabili’. Un numero più alto di posti, quindi una percentuale di occupati più basso, migliora le performance di due dei 21 parametri considerati dall’Iss per la classificazione del rischio – gialla, arancione, rossa – di ogni Regione.
‘Attivabili’, come era scritto prima, ne certificava una esistenza sulla carta in caso di bisogno, ma ora appaiono come ‘disponibili’, e in un numero più alto. Ma per renderli effettivi e pronti ad accogliere chi ne ha bisogno, e dunque davvero ‘disponibili’, bisognerebbe destinarci ulteriore personale medico e paramedico. Ne ha fatto cenno il governatore Vincenzo De Luca in alcuni secondi della diretta Facebook del venerdì, quando ha spiegato che non è possibile tenerli tutti attivi contemporaneamente per carenza di personale. In sostanza, ed in attesa di spiegazioni che potrebbero arrivare da eventuali indagini in corso, i report sembrano una situazione teorica e non quella reale dei posti letto utilizzabili in questo momento.
Questione sulla quale l’Unità di crisi campana ha diramato un comunicato stampa di chiarimento. “Il dato odierno di 590 posti letto di terapia intensiva – si legge – si riferisce all’intera dotazione di posti letto, pubblico e privato accreditato, realizzati e funzionanti che attualmente sono presenti in Regione Campania per far fronte all’intera richiesta di assistenza ospedaliera (Covid e non Covid)”. “Si tratta – sottolinea la nota – della stessa dotazione di posti letto rilevabile nel flusso delle piattaforme ministeriali”.
L’Unità di Crisi ricorda che a febbraio i posti TI attivi “erano 335 e che in questi mesi ne sono stati realizzati e attivati altri 255”. Mentre il dato di 3.160 posti letto di degenza “fa riferimento al numero di posti letto che, nell’ambito della più ampia dotazione di posti regionali della rete ospedaliera, sono stati programmati quali posti letto da destinare ai pazienti Covid-19 comprendendo sia l’offerta pubblica che quella del privato accreditato”. Quindi le ultime versioni del bollettino quotidiano sono relative “alla sola occupazione di posti letto dedicati ai pazienti affetti da Covid-19, sia di terapia intensiva che di degenza, riportando anche il totale dei posti letto di terapia intensiva della Regione Campania e dei posti letto di degenza dedicati al Covid-19. Il dato dei posti letto dedicati ai pazienti Covid-19 non può essere fisso ed è variabile in relazione alla esigenza quotidiana che si manifesta”.
Intanto in questo week end la città si è spaccata in due, tra angosce e leggerezze: file di macchine e di ambulanze davanti agli ospedali, migliaia di persone in spiaggia a prendere il sole, o sul lungomare liberato a passeggiare, incuranti del rischio contagio. Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha deciso di non aderire all’appello di De Luca a chiudere le strade della movida, lasciando aperte via Partenope e via Caracciolo, le vie del passeggio e dei ristorantini all’aperto fronte mare, letteralmente presi d’assalto. Secondo de Magistris, chiudere una strada “non ha alcuna senso e, anzi, può provocare un effetto imbuto su altri luoghi” e inoltre “con le chiusure si corre il rischio che le persone si vedano al chiuso delle case dove il pericolo di contagio è maggiore” rispetto ai luoghi all’aperto.
“Non si possono colpevolizzare i cittadini che escono, e con la mascherina, perché nella zona gialla non c’è alcun divieto ad uscire così come è assurdo investire un sindaco di una decisione che non serve a nulla”, ha spiegato de Magistris. Il sindaco sottolinea che “sono persone che camminano, non sono assembramenti”. In altre sedi, de Magistris ha dichiarato perplessità e sconcerto per l’inserimento della Campania in fascia gialla, accompagnate dalla certezza che prima o poi precipiterà in zona rossa. La sensazione è che quasi tutti, da de Magistris a De Luca fino al ministero della Salute, ritengano necessarie forme di lockdown più severe a Napoli (ieri 2.158 contagi sui 4.601 provenivano dall’area metropolitana), ma ognuno pensa che a deciderle debba essere un altro.
Misure restrittive che vengono chieste anche dagli infermieri. “Alla luce della situazione epidemiologica, del crescente numero dei contagi, dei dati allarmanti che ci vengono forniti dalle direzioni ospedaliere, dalla mancata osservanza delle prescrizioni da parte dei cittadini, chiedo a nome di tutti gli infermieri e infermieri pediatrici dell’Ordine della provincia di Napoli provvedimenti più restrittivi per la tutela della salute pubblica e la salvaguardia della nostra famiglia professionale”, dice il presidente dell’Ordine degli infermieri partenopeo, Ciro Carbone. “Basta con il palleggiamento di responsabilità – è l’appello dell’Opi – La politica svolga il ruolo di indirizzo che la Costituzione le assegna. Ora il rischio è alto”.