L’Italia diventa sempre più zona arancione. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base dei dati elaborati dalla Cabina di Regia firma una nuova ordinanza che scatterà da mercoledì 11 novembre e resterà in vigore per i successivi 14 giorni che decreta il passaggio dall’area gialla ad arancione di 5 regioni: Abruzzo, Basilicata, Liguria, Toscana e Umbria. Confermata la zona rossa per la provincia di Bolzano, già decisa dal governatore Svp Arno Kompatscher. La situazione, comunque, resta in continua evoluzione. Sempre più insistenti si fanno gli appelli alla prudenza che arrivano da medici e scienziati e il governo non intende sottovalutarli. Tanto che in corso c’è un’ulteriore verifica dei dati epidemiologici che riguarderà tutte le altre regioni d’Italia. La giornata di martedì sarà, invece, interamente dedicata alla situazione della regione Campania, che potrebbe passare direttamente da area gialla a rossa. “La situazione epidemiologica continua a peggiorare, si registra un Rt (indice di contagio) di circa 1,7. Abbiamo oltre 500 casi per 100mila abitanti e quasi tutte le regioni sono pesantemente colpite – spiega Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, al termine della Cabina di regia sul monitoraggio regionale – Nei ricoveri ospedalieri notiamo una tendenza all’aumento e soprattutto c’è un incremento per quanto riguarda i ricoveri in terapia intensiva e questa situazione giustifica l’adozione di interventi più restrittivi, soprattutto nelle regioni più colpite”.
Le nuove decisioni sono state prese in base ai dati del monitoraggio sul contagio nelle Regioni riguardante la settimana dal 25 ottobre al primo novembre, analizzati dal Comitato tecnico scientifico e dalla cabina di regia per l’emergenza Covid (di cui fanno parte ministero e territori). Con le ultime modifiche, in attesa delle verifiche in particolare sulla Campania, in zona rossa restano Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, mentre si aggiunge la Provincia di Bolzano. Le regioni arancioni diventano sette: oltre alle cinque “nuove”, ci sono Puglia e Sicilia. Le altre restano, per ora, zone gialle. I governatori accettano il nuovo responso, non tralasciando scetticismi e richieste. “Il ministro Roberto Speranza mi ha anticipato poco fa l’esito della riunione”, ha spiegato governatore dell’Abruzzo, Marco Marsilio, confermando che gli effetti del provvedimento “avranno decorrenza dalla giornata di mercoledì“. Anche l’inserimento della Liguria in zona arancione da mercoledì e per 14 giorni è stato confermato dallo stesso Giovanni Toti: “Ritengo sia doveroso non entrare in polemica con il governo e prendere atto di questa decisione”, ha scritto il governatore. In realtà, da più parti sono stati segnalati ritardi nella trasmissione dei numeri sul contagio proprio da parte delle Regioni. Se non addirittura informazioni incomplete o alterate, tanto che la procura di Genova ha aperto un’inchiesta a fini conoscitivi.
“Spostamento Umbria in zona arancione? Ne prendiamo atto. E’ chiaro che questo avrà ripercussioni su bar, ristoranti e su tutte quelle attività che hanno già avuto danni importanti finora”, ha detto la governatrice Donatella Tesei intervenuta a SkyTg24. “Non siamo indietro su nulla. Siamo la regione che fa più test di tutte in proporzione al numero degli abitanti”, ha rivendicato, parlando anche di una disponibilità di 500 posti letto riservati all’emergenza Covid. “La decisione del ministro nasce a seguito dell’aumento dei casi positivi registrato negli ultimi giorni”: è invece il commento del presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi. “Faccio appello al senso di responsabilità dei lucani – ha aggiunto – perché in assenza di vaccino la pandemia si combatte con atteggiamenti estremamente responsabili. Solo seguendo le regole che tutti ormai conosciamo possiamo sconfiggere il virus e rallentare in modo efficace la sua diffusione. Non è escluso che a seguito della crescita dei contagi nelle prossime ore emetterò una ordinanza con ulteriori misure restrittive“.
“Dobbiamo fare squadra, le Regioni e il governo devono cercare di smussare e di essere molto unite”, ha commentato Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, intervenendo a Zapping su Radio1. “In questi momenti le istituzioni devono essere il più possibile unite per essere credibili e rassicuranti verso i cittadini”, ha aggiunto il governatore. Secondo Giani, “se ci sono inevitabili elementi di frizione, è spirito di responsabilità da parte di ciascuno di noi di limitarli. Abbiamo un’Italia che è su tre livelli di restringimenti alla mobilità: ogni Regione rispetti quello che il comitato tecnico-scientifico le dà”. Al Tgr Toscana il governatore ha specificato: “Da quello che mi risulta si arricchisce anche il numero delle zone rosse, quindi siamo in una situazione intermedia in Italia, cerchiamo di resistere ora per uscirne prima“.
I medici: “Serve un lockdown nazionale” – In molti territori il coronavirus continua a correre veloce, con conseguenze che sembrano riportarci indietro nel tempo alla scorsa primavera: “Abbiamo avuto notizie dal territorio che si stanno verificando carenze nella disponibilità di bombole di ossigeno nelle farmacie per le cure domiciliari di pazienti Covid”, è l’allarme del presidente di Federfarma Marco Cossolo. “Stiamo approfondendo la situazione e valutando il da farsi”. A preoccupare è soprattutto la situazione negli ospedali. L’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri si aspetta “un raddoppio dei ricoveri ospedalieri e in terapia intensiva nella prossima settimana se il trend non muterà, e in attesa degli eventuali benefici derivanti dalle misure dell’ultimo dpcm che potranno però evidenziarsi non prima di altri 10 giorni“. Secondo il presidente Alessandro Vergallo, infatti, le rianimazioni “sono già sotto pressione. A fronte di ciò e dell’assenza di una medicina territoriale, la proposta di lockdown nazionale – rileva – è a questo punto ragionevole”. Una posizione in linea con quella del presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, tornato a chiedere un “lockdown totale“ in tutto il Paese. “Con la media attuale”, ha chiarito, “in un mese arriveremmo ad ulteriori 10mila decessi“.
I dati sui posti letto – La fotografia che arriva da Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, non lascia spazio a dubbi: a livello nazionale il 49% dei posti letto in medicina generale è occupato da pazienti Covid. Praticamente uno su due, ben oltre la soglia critica del 40% che di fatto limita il ricovero di persone affette da altre patologie. A superare questo valore sono 11 regioni: Campania (41%, ultima in ordine di tempo ad aggiungersi alla lista), Emilia Romagna (50%), Lazio (47%), Liguria (71%), Lombardia (74%), Marche (53%), Trento (49%), Umbria (53%), seguite dalla provincia autonoma di Bolzano (99%), Piemonte (95%) e Valle d’Aosta (91%). Per quanto riguarda le terapie intensive, invece, allo stato risultano occupate al 34%: 11 Regioni hanno superato la soglia critica del 30%.
La situazione nelle Regioni a rischio – Da qui la decisione della giunta provinciale di Bolzano di anticipare le restrizioni di Roma (come previsto in virtù dell’autonomia dell’Alto Adige), rendendo “zona rossa” tutta l’area di sua competenza. E ora l’assessore alla Sanità spiega che si potrebbe arrivare a un lockdown ancora più duro, cioè riducendo le attività economiche e imponendo la didattica a distanza in tutte le scuole. A Napoli le ambulanze sono tornate ad affollare l’ingresso dei pronto soccorso, come ha denunciato il responsabile dei 118. Proprio mentre sul lungomare si registravano nuovi assembramenti, così come a Ostia. Difficoltà pure in Toscana, dove nelle Rsa un anziano su dieci risulta contagiato, e in Piemonte: qui i ricoverati sono già il 25% in più rispetto alla scorsa primavera, mentre in intensiva il picco verrà raggiunto tra una settimana.
Toti: “I dati liguri affidabili e accurati” – A rivendicare la stabilità della curva nella propria Regione è invece il governatore ligure Toti: “Non c’è un peggioramento della situazione in Liguria”, ha detto lunedì mattina a Radio Capital. Contestando il metodo dei 21 criteri epidemiologici adottato da Palazzo Chigi per far scattare le restrizioni in modo automatico. “La situazione non sempre può essere valutata solo in base ai numeri. Da noi l’indice di trasmissione Rt è più basso che in altre Regioni. Però è vero che a Genova pur con un indice Rt basso c’è una forte pressione sugli ospedali, mentre in altre province l’Rt è più alto ma non c’è sofferenza particolare nelle strutture. Mettere tutto dentro a un calderone che con un algoritmo dovrebbe dare la soluzione perfetta è impossibile”. Riguardo ai dati inviati a Roma per valutare l’eventuale inserimento della Liguria in zona arancione, invece, Toti ribatte che “i nostri dati sono affidabili e accurati. Se qualcuno vuole vederli ben venga, secondo me è necessario che questi dati siano pubblici. Può esserci al massimo stato un errore, ma nessuna malizia”.
L’inchiesta di Genova – Ciononostante, i magistrati genovesi hanno intenzione di vederci più chiaro. Nel mirino degli investigatori, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, è finito il complesso meccanismo di acquisizione e trasmissione dei dati da parte della Regione a Roma. I numeri attualmente vengono raccolti da Asl e direzioni sanitarie e poi confluiscono nella piattaforma Alisa, che a sua volta li invia al ministero. Le ipotesi su cui si sta ragionando sono due: da un lato un presunto ritardo nella catena di comunicazione, dall’altro la presunta alterazione dei dati con parametri non corretti. Al momento si tratta di un’inchiesta conoscitiva senza ipotesi di reato, ma la procura è tornata in Alisa per acquisire nuovi documenti. Nei giorni scorsi i pm avevano preso tutti i verbali e gli atti relativi al piano pandemico per la gestione della seconda ondata. Gli investigatori vogliono verificare se quanto previsto dal piano sia stato realizzato e se non vi siano stati ritardi. L’indagine era partita dopo l’assalto ai pronto soccorso cittadini e alle denunce sull’affollamento delle strutture di media e bassa intensità che avrebbero dovuto essere alleggerite con strutture esterne.