Tamponi positivi o negativi a giorni alterni, calciatori indisponibili in Europa e disponibili in campionato, inchiesta della giustizia sportiva e ordinaria, blitz della Finanza e sequestri. C’è un solo campionato in tutta Europa dove il rispetto del protocollo sanitario – il minimo sindacale per pretendere di portare a termine una stagione sportiva nel bel mezzo di una pandemia – diventa un caso diplomatico e giudiziario di portata internazionale: non poteva che essere la Serie A. E c’è una sola squadra in Serie A che è finita così pesantemente nell’occhio del ciclone, con accuse neanche troppo velate e sospetti indicibili di taroccare gli esami: non poteva che essere la Lazio di Claudio Lotito.

Non è cattiveria nei confronti dell’uomo, tantomeno pregiudizio in quelli del presidente, uno dei più capaci del calcio italiano. Fa parte del personaggio. Il Lotito che si muove nelle zone d’ombra, pretende di avere sempre l’ultima parola, essere il più furbo di tutti, interpretare le regole nella maniera più vantaggiosa, anche quando sarebbe più utile, per tutti e anche per lui, applicarle e basta. Scacciando l’ipotesi del dolo (sarebbe spaventoso), ma anche soltanto quella della colpa, prendendo per buona la sua versione e accettando che nessuna violazione è stata commessa, la gestione dei tamponi della Lazio è comunque la peggiore possibile in un momento così delicato. La Lazio è stata l’unica (o comunque una delle pochissime) squadre a non rendere pubbliche le proprie positività. Si è scelta un laboratorio fuori Regione, regolarmente accreditato ma anche storicamente “amico” (il proprietario è Massimiliano Taccone, figlio di Walter ex presidente dell’Avellino, vicino a Lotito), circostanza che non aiuta a sgombrare il campo dagli equivoci. Non ha accettato gli esiti degli esami fatti da SynLab (il centro incaricato dalla Uefa), e ancora non si è capito come e quanto abbia comunicato con le Asl di riferimento. Il tutto, sempre, in una stupefacente mancanza di trasparenza, che forse pensavano potesse in qualche modo tornare comodo ma gli si sta solo ritorcendo contro.

Certo, se Lotito è l’uomo dei grigi, dall’altra parte c’è il rosa di Cairo. Non si può nemmeno ignorare come sulla vicenda si sia scatenata una vera e propria campagna, portata avanti soprattutto dal principale quotidiano sportivo di proprietà del presidente del Torino. Sarebbe troppo banale se fosse perché domenica scorsa si è giocata proprio Torino-Lazio, e i giocatori dalla positività ballerine (in particolare Immobile) sono stati decisivi nella vittoria a tempo scaduto dei biancocelesti. È evidente che la posta in palio è più alta di quei tre punti che magari potrebbero tornare in discussione, è anche politica. Fra Cairo e Lotito è quasi una questione personale: esiste una battaglia che va avanti da tempo e ha trovato come ultimissimo terreno di scontro il progetto di vendere una parte della Serie A ai fondi d’investimento stranieri, appoggiato dai grandi club (Cairo chissà perché si è convinto di farne parte) e contrastato dal patron biancoceleste. In ballo ci sono interessi miliardari e il futuro del pallone italiano.

Se la Lazio ha commesso delle violazioni (non facendo rispettare appieno protocolli e isolamenti), se c’è stato addirittura dolo (questo sarebbe gravissimo e inaccettabile), o se si tratta più che altro di un polverone, dovranno stabilirlo le autorità. Di sicuro ancora una volta il calcio italiano ha fatto una figuraccia. In un momento così delicato, in cui il pallone è già sotto il faro del governo e del comitato tecnico-scientifico (dove c’è anche chi pensa che il campionato dovrebbe essere chiuso), tutto deve essere pubblico: le positività, le ragioni per cui un giocatore viene schierato o meno, gli isolamenti adottati. Serve il massimo della trasparenza. E serve anche il “tampone della Lega”. Un po’ come ha fatto la Uefa, che per le sue competizioni ha affidato gli esami a un unico centro in tutta Europa. Certo, in campionato non è così semplice: ci sono molti più tamponi da fare, i costi sono alti, sono coinvolte città piccole dove non sempre è presente una struttura adeguata. Ma una soluzione va trovata, ad esempio centralizzando almeno i tamponi prima della gara, quelli decisivi per la presenza o meno in campo dei giocatori. Non è pensabile che ognuno si affidi a un laboratorio diverso, che adotta requisiti e metodologie differenti (la Figc non ha previsto nemmeno uno standard). È dalla mancanza di chiarezza, dall’incertezza che nascono i sospetti, i dubbi sul rispetto ferreo delle regole (e addirittura sull’autenticità degli esami), le polemiche. Con tutte queste variabili, che finisse così era possibile. Con Lotito di mezzo, quasi inevitabile.

Twitter: @lVendemiale

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