“E’ inutile girarci attorno”, dice l’infettivologo Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano: “Con questi numeri il problema di dove mettere i dimessi deve essere affrontato e risolto una volta per tutte”. Erano finiti in fondo alla lista, l’emergenza li riporta in cima: Covid Hotel, chi li ha visti? Fin da marzo erano stati individuati come soluzione per isolare i positivi asintomatici e i dimessi che non necessitano di ulteriori cure in luoghi diversi dall’ospedale e dalla propria abitazione, così da impedire che facessero correre il contagio tra le mura di casa, infettando i propri familiari, o che congestionassero i reparti, a discapito dei casi più gravi. Ma è esattamente quel che succede oggi, perché tra le due curve della pandemia si è fatto pochissimo su questo fronte e l’inerzia ora ci presenta il conto: la pressione dei pazienti meno gravi su pronti soccorso e reparti di degenza è tale che quelli gravi non trovano più posto, quelli che non lo erano – fatalmente – lo diventano.
Ad aprile i Covid Hotel sembravano spuntare come funghi. Il “Cura Italia” aveva incaricato la Protezione Civile e i prefetti di reperire le disponibilità in ogni regione. Perfino requisirli, se necessario. Nel giro di poche settimane, sulla carta, era emersa una capacità di 43mila posti letto che erano pure troppi, perché quelli effettivamente occupati furono allora solo 4mila. Poi è arrivata l’estate e il decreto legge 34 di luglio ha conferito alle regioni la possibilità di stipulare contratti di locazione in convenzione fino al 31 dicembre. In mezzo alla due curve, si manifesta però la stessa inerzia riscontrata su altri fronti e con la seconda ondata – insieme al tracciamento, alla medicina territoriale e ai nuovi posti di terapia intensiva – è “saltato” anche l’anello dell’ospitalità dei positivi; mentre il numero di asintomatici o “paucisintomatici” comunque infetti è letteralmente esploso rispetto ad aprile, proprio perché il virus si è messo a correre tra le mura domestiche.
Perfino nelle “zone rosse” le strutture convenzionate si contano sulle dita di una mano. Intere province ne sono sprovviste, specie al Sud. Solo adesso, in tutta Italia, è scattata la corsa contro il tempo a reclutare alberghi sui quali si è dormito a lungo. La situazione è critica in Lombardia, dove la Regione sta cercando di convenzionare una decina di strutture in forza di 120 euro al giorno, forse la cifra più alta tra i convenzionamenti in corso. Ma le cose non vanno meglio in Campania, Sicilia, Sardegna. I (pochi) bandi aperti sono partiti in ritardo, molti solo in questi ultimi giorni. Tanti vanno deserti o incontrano scarsa adesione per manifesta indisponibilità degli albergatori.
Da Bolzano a Palermo, ai positivi asintomatici o “paucisintomatici” non resta che stare a casa loro, blindati dal lockdown e impossibilitati a proteggere i propri parenti dal contagio intrafamiliare o bussare all’ospedale, cercando ricovero. Non a caso il ministro per le autonomie Francesco Boccia pochi giorni fa è tornato sull’argomento, prospettando il rafforzamento della rete dei ‘Covid Hotel’. Per Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts), il problema è sempre lo stesso: “Le diverse strategie delle Regioni su nodi centrali come i covid hotel e i drive-in, dimostrano che serve una gestione centralizzata”. E in effetti, se si prendono i 4 scenari pandemici indicati dagli esperti del Cts si ritrova la voce “attivazione alberghi per isolamento casi”, ma è sempre affiancata dalle lettere L e R, che stanno per “livello locale” e “livello regionale”. Che sia in buona parte colpa delle regioni è confermato anche dal fatto che hanno ricevuto oltre 5 miliardi per l’emergenza, ma in buona parte quei fondi sono ancora da spendere.
Anche a livello centrale però è mancata l’iniziativa. Non c’è traccia, ad esempio, di un “piano nazionale” dei covid-hotel che stimi il fabbisogno di ogni regione, né di una disposizione che le inchiodi tutte a rispondere, in maniera adeguata e tempestiva. Il decreto di luglio conferisce ai governatori il mandato a stipulare convenzioni ma non prescrive obblighi, si limita a dire “possono”. A ben vedere, la disponibilità di strutture per i positivi diverse dall’abitazione non figura poi tra i 21 parametri per zone rosse individuati ad aprile e utilizzati anche per l’ultima stretta. Non si ha notizia infine di un impiego dei tanti immobili vuoti del Demanio. Per questo, l’attribuzione di colpe oggi non è esercizio facile: si assisterà ancora una volta allo scaricabarile?
La generale sottostima della “seconda ondata” si è poi saldata perfettamente con i (legittimi) interessi degli albergatori. Per mesi le associazioni di categoria hanno chiesto indennizzi e contestato ipotesi chiusura. I loro iscritti, anche per questo, hanno generalmente preferito sfruttare il turismo interno durante la pax estiva per salvare l’attività. Molti hanno preferito tenersi le mani libere, anche in vista della stagione del turismo autunnale e invernale. Altri hanno chiuso per evitare lo stigma del Lazzaretto. Le tariffe offerte dalle Asl del resto non sono particolarmente allettanti. Prendiamo la convenzione dell’Ausl Sud Est Toscana, che ricomprende le province di Arezzo, Grosseto e Siena (Chianti compreso): per una camera sono 30,90 euro oltre Iva, ma la struttura deve garantire la sanificazione degli spazi, percorsi differenziati per sporco e pulito, l’accesso separato per gli operatori sanitari e il personale di servizio. In Veneto siamo sui 50 euro a notte. Non c’è regione che possa dirsi propriamente “virtuosa”, alcune però han fatto meglio di altre. Lo dicono i numeri. Eccoli.
MILANO: 160 POSTI LETTO
Arranca la Lombardia, la zona più rossa d’Italia. A Milano non ha riaperto il Michelangelo, che fu un modello di assistenza nella prima emergenza con 511 infetti ospitati. Il Comune ha fatto un bando e il primo novembre ha aperto le porte agli sintomatici l’Hotel Astoria con 70 posti. Per questo agli alberghi si affiancano l’hub di Linate gestito dalla Croce Rossa che accoglie positivi in quarantena e l’Rsa del quartiere Adriano che ospiterà in 70 stanze e 17 appartamenti quanti devono stare in isolamento in attesa di diventare negativi al virus. Di fatto al momento la metropoli più contagiata d’Italia può contare su 160 posti letto. Non per niente la ricerca si è allungata fino a Lodi Vecchio, dove si sta trattando per altri 25 posti. A Bergamo, epicentro della prima ondata, non c’è un hotel covid e l’unica struttura di cui si ha notizia è ancora l’Hotel “Antico Borgo La Muratella”, a Cologno al Serio: 64 posti letto a fronte di 398 nuovi contagi in provincia.
LAZIO: NE RESTANO 518
Migliore la situazione nel Lazio, dove si contano 1.129 posti letto in covid-hotel; ma metà sono già pieni e restano 518 letti a fronte di duemila nuovi positivi al giorno. Su Roma c’è però la convergenza tra l’amministrazione Raggi e gli albergatori. Il sindaco la scorsa settimana ha proposto di organizzare in modo articolato la rete di alberghi da trasformare in Covid Hotel per accogliere positivi asintomatici che non possono restare in casa. La leva sarebbe proprio la difficoltà in cui versano a causa del lockdown che ha fermato il turismo. La proposta è stata formalizzata in una lettera firmata dalla Raggi e dal presidente di Federalberghi Bernabò Bocca inviata a Conte e a Zingaretti.
PIEMONTE: MILLE POSTI DISPONIBILI
La caccia ai Covid Hotel è ripartita anche in Piemonte dove è appena stato stipulato un accordo con gli albergatori che ha permesso di lanciare due bandi, uno per sintomatici non gravi da trattare e uno per pazienti solo in attesa di diventare negativi. Già 1000 i posti disponibili: 815 in provincia di Torino, 34 nell’Alessandrino, 20 nell’Astigiano, 20 nel Cuneese, 65 nel Novarese, 31 nel VCO e 16 nel Vercellese.
MARCHE: 627 CAMERE
Nelle Marche si è risvegliato il sistema alberghiero che si era già mosso in forza per gestire il post-terremoto. Un accordo quadro tra Regione e associazioni ha permesso di garantite 627 camere in 13 strutture così divise nell’area regionale: 3 strutture e 155 camere nella provincia di Ancona, 2 strutture e 127 camere nella provincia di Macerata, 3 strutture e 111 camere nella provincia di Fermo, 3 strutture e 98 camere nella provincia di Ascoli Piceno, 2 strutture e 136 camere nella provincia di Pesaro-Urbino.
UMBRIA: SI E’ MOSSA SOLO A NOVEMBRE
L’Umbria che per mesi ha fatto poco o nulla sta correndo ai ripari. Si è mossa solo il 28 ottobre, quando la giunta regionale ha approvato un accordo quadro da stipulare con gli albergatori per il reperimento delle strutture dove isolare i positivi. Il 2 novembre ha incassato la disponibilità di 22 strutture ricettive, oltre all’Hotel Melody di Deruta (52 camere) attivo sin dalla primavera e pronto a ricevere i primi pazienti e a Villa Muzi a Città di Castello con 23 stanze.
TOSCANA: SI PUNTA A 1500 POSTI
La Toscana si era mobilitata subito sul fronte alberghi, ma ora deve ricominciare. Ad oggi i posti disponibili sono 960, di cui due terzi occupati. L’obiettivo è arrivare a 1500 letti. Il 28 ottobre l’Asl Toscana SudEst ha lanciato un bando “senza scadenza” per reclutare albergatori disponibili, riconoscendo una tariffa che va da 30 a 39 euro più Iva.
LIGURIA SENZA ALBERGHI
La giunta di Giovanni Toti agli alberghi ha preferito le convenzioni con le cliniche. Una decisione che le opposizioni hanno bollato come “ispirata al fallimentare sistema lombardo”. Del resto Toti si era avventurato nella nave da crociera convertita in albergo galleggiante per positivi in quarantena. A quanto è dato sapere stavolta rimarrà ormeggiata in rada nel porto di Genova.
TUTTO IL SUD IN AFFANNO
E’ soprattutto al Sud che il positivo non trova albergo. In Sicilia si cercano strutture dove mettere i dimessi dagli ospedali. In provincia di Catania sono state individuate diverse strutture e anche Rsa per un totale di 100 posti letto. Ma i nuovi contagi corrono alla velocità di 400 al giorno. La Campania è da incubo non solo per i contagi. Il Governatore Vincenzo De Luca un mese fa aveva annunciato una campagna per reclutare resort e svuotare così il sovraccarico di pazienti non gravi che però gravano sugli ospedali. A parte l’Ospedale del Mare con 200 stanze, in provincia di Napoli non c’è molto altro. A Ischia due bandi sono andati deserti. Tutta la Sardegna può contare solo su due hotel operativi. Ma la curva certifica 340 nuovi positivi al giorno. L’ultimo avviso pubblicato dall’Ats sarda è scaduto il 20 ottobre. Una decina di strutture si sono palesate, nessuna al momento ha firmato l’impegno, a fronte di una tariffa riconosciuta di 66 euro a notte. Il precedente bando era andato deserto.