Cultura

Morto Marco Santagata, addio al grande critico letterario. La sua vita tra l’amico Vasco Rossi e Dante

Se n’è andato a 73 anni, dopo una lunga malattia, il coma e il peggioramento dovuto al Covid-19. Una vita da italianista, docente universitario, critico letterario, ma ancor di più da dantista e petrarchista

di Davide Turrini

Un piede nell’amata Zocca del fraterno amico Vasco Rossi, l’altro posizionato con devozione tra i versi di Dante e Petrarca. Se n’è andato a 73 anni, dopo una lunga malattia, il coma e il peggioramento dovuto al Covid-19, Marco Santagata. Una vita da italianista, docente universitario, critico letterario, ma ancor di più da dantista e petrarchista. Figlio del capogruppo DC nel consiglio comunale di Modena, fratello del deputato dell’Ulivo, Giulio, un vero prodiano di ferro, Santagata si laureò alla Normale di Pisa nel 1970 in Letteratura Italiana. Presto divenne docente di Filologia dantesca e umanistica, infine professore ordinario di Letteratura italiana nel 1980.

Docenza che divenne stabile nel 1984 alla facoltà di lettere di Pisa. Successivamente furono tanti gli incarichi temporanei all’estero (Nancy, Paris III, Ginevra, fellow professor ad Harvard). Studioso di lirica italiana con particolare attenzione per i primi secoli del secondo millennio e con una tensione fortissima verso Francesco Petrarca e il petrarchismo, come per Dante verso il quale Santagata ha dimostrato anche un approccio più discorsivo, moderatamente biografico. Come donna innamorata (Guanda, 2015), finalista al premio Strega, fu l’apice di un tentativo “leggero” di raccontare la vita del sommo poeta, autore de La Divina Commedia. Nel libro Santagata pone Dante di fronte ad un interrogativo doloroso: come continuare a scrivere alla morte della propria musa, Beatrice Portinari? C’è tutto il Dante quotidiano possibile ed immaginabile, mentre frequenta a Firenze nel 1290 il maestro Brunetto Latini e l’amico Guido Cavalcanti. Santagata aveva iniziato la sua carriera nell’ambito della narrativa nel 1996, sempre grazie a Guanda, suo storico editore per tutto ciò che ha riguardato la forma romanzo, con Papà non era comunista. Un’autobiografia un po’ contadina e un po’ borghese, periferica, atipica e nebbiosa della provincia modenese nel primo dopoguerra.

Nel 2003 è l’ora de Il Maestro dei santi pallidi, storia di un ragazzino pastore del quattrocento che con il cappio attorno al collo rivive la sua esistenza da servo bistrattato e bastardo fino alla passione per le figure delle Madonne dipinte sui muri delle chiese. Passione che diventerà un lavoro di bottega artigiana con tanto di commesse nobiliari. Il romanzo storico vince il Premio Campiello, battendo, tra gli altri, Roberto Alajmo e Simona Vinci. Il 2006 è l’anno de L’amore in sé, un romanzo che vede protagonista proprio un professore di filologia colto nel momento di una gaffe rivelatrice “Bubi è il nome che dà Petrarca al desiderio”. Ovvio che Bubi è l’intrusa. Compagna del liceo del professore, ritornata improvvisamente come ricordo inconscio nel discorso sull’amore. Il libro ebbe molta eco anche perché a diverse presentazioni presenziò Vasco Rossi, amico di Santagata e come lui abitante di Zocca, buon amante dei libri (Vasco ha sempre raccontato di non andare al cinema, ma di leggere molto per il piacere che la lettura provoca alla sua immaginazione ndr).

Santagata compì anche un’indagine, pubblicata sul Corriere della Sera, sull’identità di Elena Ferrante. Il dantista modenese sostenne che la Ferrante in realtà fosse Marcella Marmo, docente di storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli. L’indizio che secondo Santagata tradì la Marmo/Ferrante fu nella ricostruzione che nella saga de L’amica geniale si fa degli anni pisani della protagonista Elena Greco. La Ferrante, spiegò Santagata, ha un ricordo dei luoghi anteriore al ’68, e si affida alla propria memoria e non alle piante del luogo. Nel secondo volume della quadrilogia, Storia del nuovo cognome, la protagonista Elena Greco diventa una studentessa della Scuola Normale Superiore di Pisa ed è questo secondo Santagata il nodo fondamentale della questione. Nella narrazione ferrantiana, rilevò il docente, non si trova una conoscenza scolastica della città di Pisa e delle abitudini dei normalisti, ma una conoscenza che lui riconosce come diretta, avendola vissuta in prima persona e avendo dunque la possibilità di rintracciarne indizi a un occhio non avvezzo pressoché impercettibili. La Marmo comunque smentì ogni possibile relazione tra lei e la celebre autrice invisibile.

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