Mascherine cinesi Kn95, ma senza il marchio CE stampato sopra, quello che certifica la compatibilità dei dispositivi di importazione con le normative europee. Sulle scatole delle mascherine e sugli involucri di plastica che le avvolgevano c’era la scritta “non medical”, ovvero non adatte all’uso medico. Per questo i vertici del Pio Albergo Trivulzio di Milano hanno deciso di ritirare 200mila mascherine Kn95 di produzione cinese e di non distribuirle più nei diversi reparti della struttura. L’iniziativa è stata presa dopo i dubbi sollevati da alcuni dipendenti che si sono resi conto delle scritte.
La normativa italiana ha infatti equiparato le mascherine Kn95 alle Ffp2: entrambi sono dispositivi che proteggono dai droplets in entrata e in uscita. Ma, per essere a norma, sopra deve essere riportato il marchio CE e devono essere accompagnate da indicazioni che ne certifichino l’uso. Tutte specifiche che le mascherine ritirate al Trivulzio non avevano. Per questo è scattato l’allarme dei dipendenti: medici, infermieri, Oss e personale che le indossavano e lavorano ogni giorno nei reparti a contatto con i pazienti.
“Questa precauzione dimostra che al Trivulzio c’è la massima trasparenza”, ha spiegato il professor Fabrizio Pregliasco, virologo e supervisore scientifico del Pio Albergo Trivulzio. “Purtoppo – ha chiarito – queste situazioni capitano in tutta Italia e in tutto il mondo. Succede che un ospedale o in una struttura di cura si trovi con una partita di materiale sanitario non idoneo“. Adesso la preoccupazione dei dipendenti è che al Trivulzio possa verificarsi una carenza di dispositivi di protezione individuale, proprio nel mezzo della seconda ondata della pandemia.
Nel frattempo, un nuovo screening ha accertato che dei 64 operatori risultati positivi nei giorni scorsi, sono risultati effettivamente contagiati dal Covid solamente 13 operatori. Lo stesso Trivulzio nei giorni scorsi aveva parlato di risultati anomali in relazione a quei 64 operatori positivi, chiarendo anche che potrebbe esserci stata una contaminazione di campioni in laboratorio, come era successo pure per le positività di pazienti poi risultati negativi al secondo tampone.