Scuola

Università, la didattica mista alla fine ha funzionato. Anche se in presenza è un’altra cosa

Durante la quarantena le lezioni del secondo semestre si erano salvate in qualche modo, contando sulla nostra iniziativa personale e sulla buona volontà degli studenti. La riapertura dei corsi si è presentata più strutturata; ho letto con una certa sorpresa l’entusiasmo di una giovane collega per le novità della didattica mista. Io ero piuttosto scettico; adesso, a valle di un modulo di trenta ore, posso riportare le mie impressioni.

Premessa: il modulo che ho appena finito è sempre stato il più critico dei miei quattro corsi. È un modulo di Mathematical Methods, in cui insegno teoria dei grafi, all’inizio di due lauree magistrali internazionali a Ingegneria. Gli anni scorsi gli studenti arrivavano alla spicciolata per problemi di visto. Le provenienze più disparate mescolavano studenti ben preparati con altri che non avevano la minima idea dei concetti di base.

Le differenze di sistema universitario e di atmosfera sociale, rispetto alle istituzioni di origine, rendevano gli studenti inizialmente chiusi e diffidenti, timidi nell’esternare i loro problemi di fronte a colleghi di altre nazioni. Io, che vanto un certo carisma istrionico e non ho problemi a mantenere l’attenzione di 250 matricole, vedevo con frustrazione un progressivo rifugiarsi in fondo all’aula, il dilagare di furtive consultazioni di smartphone, fino alla riduzione numerica a uno sparuto manipolo. Le conseguenze erano esami disastrosi, a cui non ero abituato negli altri corsi.

Quest’anno come sarebbe stato? Ho trovato un’ottima attrezzatura, su cui mi ero già documentato con dei video preparati dall’ateneo: soprattutto un touch screen molto grande e comodo; la dotazione software era sufficiente, anche se mi mancava la possibilità di installare programmi. C’era anche una webcam esterna, puntata sulla lavagna, per i nostalgici del gesso.

L’applicazione per la gestione delle presenze si è subito rivelata superflua, perché in aula non ho mai avuto più di otto persone, a fronte di una quarantina da remoto. Comunque la presenza di qualche studente in aula mitigava le difficoltà della mancanza di riscontro visivo. La prima buona sorpresa è stata la frequenza fin dall’inizio; i problemi di visto sussistevano, ma ognuno seguiva da casa sua, quindi non si perdevano le prime, importanti lezioni. Però, con studenti collegati da Cina, India, Pakistan, Iran, Libia e Messico, le mie lezioni, che finivano alle 19 italiane, erano a notte fonda da una parte e in tarda mattinata dall’altra.

Un altro inaspettato punto positivo è stata l’interazione: ho avuto molte più richieste di chiarimenti del solito. Questo mi ha fatto andare più lentamente, ma ero ben contento di non lasciare gente per strada. Nella chat vedevo poi che i più preparati aiutavano i più deboli con spiegazioni aggiuntive. La registrazione delle lezioni forniva uno strumento in più per non restare indietro. Il calo di frequenza c’è stato, ma in limiti fisiologici: la maggior parte ha seguito fino all’ultima lezione; certo: se poi c’erano ma dormivano non lo so. Una prima verifica ha dato un esito soddisfacente, ma con piacere ho visto che anche molti degli studenti con la sufficienza si sono messi in lista per migliorare a gennaio.

In conclusione sono soddisfatto di come sono andate le cose, anche se ero facilitato dal numero ridotto; con centinaia di matricole la storia sarebbe ben diversa. Poi mi mancava il respiro veramente internazionale di averli tutti lì, costretti a confrontarsi e – sperabilmente – a collaborare al di là delle differenze e diffidenze storiche. Com’era stato bello quando, anni fa, avevo trovato un gruppo di indiani e pakistani che studiavano insieme! O un iraniano e un iracheno diventati grandi amici.

Succederà anche adesso? Essere a casa propria toglierà inibizioni? La chat favorirà lo scambio transnazionale? Finora ho beccato solo due della stessa nazione che hanno cercato di fregare nel compito. Quasi quasi se accadesse fra nazioni diverse sarei contento (ma li stigmatizzerei lo stesso, eh).

Nota personale: da novembre sono in pensione. Per allontanare il subdolo richiamo dei cantieri stradali, ho ottenuto di tenere ancora, a titolo gratuito, questo corso e un altro opzionale a Ingegneria. Ne lascio due e ho già nostalgia degli studenti di Matematica e soprattutto delle adorabili matricole di Ingegneria. Per dieci anni potrò ancora firmare le mie ricerche come “Professore dell’Alma Mater”. Confido nell’ospitalità de Il Fatto Quotidiano per continuare a dire la mia in completa libertà.