di Sandra
Né carne né pesce, moderatamente buono ma non buonissimo. Joe Biden, da ieri 46esimo presedente degli Stati Uniti, è un piatto di portata che nei banchetti americani è sempre finito in seconda o terza fila, tra quelli che “ok, se va bene lo assaggio dopo”.
Abituati a sapori forti e contrasti di gusto, per i commensali a stelle e strisce c’era sempre qualcosa di più succulento da assaggiare per prima. Lontano anni luce dalla stella rivoluzionaria di Barack Obama o dalla boria arrogante del suo diretto predecessore, il moderato Biden non ha mai mostrato il piglio e il carisma di un leader; ancor più quando fu costretto a ritirarsi dalle presidenziali del 1988 perché accusato di aver copiato pari pari il suo discorso da un deputato inglese.
Eppure Joe non ha mai mollato. Con quel suo difetto di pronuncia che gli è valso, in gioventù, il soprannome di “Dash” dopo tragedie personali e sconfitte politiche per cui tutti, nell’ambiente, lo davano ormai per finito, Biden non ha mai arretrato di un passo. Anzi ogni volta ci ha riprovato caparbio e cocciuto con la stessa determinazione con cui da ragazzo lavorava sette giorni su sette per riparare ai rovesci finanziari del padre. Con un solo e unico obiettivo: la presidenza del suo paese.
Ed ecco che Joe Biden, piatto d’assaggio frugale ma corposo snobbato nei rinfreschi più cool della politica americana, rappresenta il presidente ideale dell’America di oggi. Per gli americani infatti non c’è in gioco solo la tenuta del sistema sanitario ma anche l’assetto dell’intera struttura sociale e il 78enne Joe, capace di risorgere dalle ceneri come una fenice, è stato eletto per questo: perché se ci si crede si può risorgere sempre, anche da una pandemia disastrosa come questa.