Vorrei (ironicamente) ringraziare Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, Massimo Martinelli, direttore del Messaggero, Clemente Mimum, direttore del Tg5 e gli altri direttori di quotidiani e tv che, ancora una volta, hanno banalizzato con una narrazione stereotipata un femminicidio. Mi riferisco all’uccisione di Barbara Gargano, all’infanticidio del piccolo Alessandro e al ferimento della sorella gemella Aurora. L’assassino, Alberto Accastello, morto suicida, è il marito e padre delle vittime.
Vorrei complimentarmi per la tenacia con la quale i loro giornali divulgano la concezione di rapporti tra uomini e donne e del matrimonio ferma agli anni 50 e 60. Quando la separazione e il divorzio erano concepiti come un’offesa all’indissolubilità del matrimonio e le donne che ne decretavano la fine erano dissolute malafemmine che si sottraevano al ruolo di custodire e conservare le relazioni famigliari. A qualunque costo.
Un ringraziamento particolare va a quei giornalisti che hanno messo in evidenza il sospetto tradimento di Barbara Accastello come se eticamente avesse lo stesso peso di una strage familiare. Insomma, corna e morte si equivalgono.
Molti di quelli che ne hanno scritto non si chiedono se le “liti”, alla luce della strage avvenuta, fossero in realtà maltrattamenti. Nessuno è sfiorato dall’idea che Barbara vivesse una relazione arida e insoddisfacente, il punto di vista della donna non viene preso in considerazione. Illustrando al contrario solo il punto di vista di uomini che ammazzano mogli e figli, si rafforza la sottocultura che alimenta il femminicidio.
Carla Baroncelli, giornalista Rai per 22 anni e autrice di Ombre sul processo, una formidabile analisi della sottocultura del femminicidio, ricorda sempre che la cronaca nera è lo strumento politico per eccellenza perché orienta l’opinione pubblica. Il messaggio politico sulle uccisioni di Barbara e del figlio Alessandro viene tessuto dalle parole usate nella cronaca. La parola femminicidio scompare, sostituita da “dramma“, “tragedia familiare”. Alberto Accastello viene definito in molte testate: “tranquillo operaio”, “lavoratore”, “padre e marito modello”, “lavorava moltissimo. Mai un’assenza, sempre presente”, un uomo che “aveva costruito una vita che giudicava perfetta”. Un uomo “mite” che aveva costruito con le sue mani “il patio per fare giocare i bambini” (quegli stessi su cui ha scaricato pallottole) e che “lavorava alla casa anche i fine settimana”. Alcuni tg che era un uomo “legatissimo alla famiglia” e che “non sopportava l’idea di perdere i due figli”.
I lettori e le lettrici vengono orientati a pensare che la trasformazione di Alberto Accastello, da buon padre di famiglia a killer, sia opera di Barbara Gargano descritta così: “Era cambiata”, “la moglie voleva la separazione”. Viene dato spazio alle opinioni dei vicini di casa: “era sconvolto dalla separazione”. Emerge il ritratto di una donna irriconoscente nei confronti di un uomo buono, dedito alla famiglia.
I commenti sui social con invettive contro la vittima sono significativi: come quello di Francesco: “mi dispiace per i gemellini di 2 anni e per il cane. Ma per la moglie… ha fatto benissimo”; o quello di Paola “non giustifico ma forse lui si sentiva trascurato, una volta quando esistevano le famiglie patriarcali, queste cose non succedevano”. Il delitto d’onore e la sua sottocultura sono serviti con gradimento di una parte del pubblico.
A tutte noi, giornaliste a attiviste, che ogni giorno lavoriamo su tutti i fronti per contrastare il fenomeno della violenza maschile e le sue radici culturali non resta che disfare la tela che fedeli patriarchi tessono ogni giorno nelle aule parlamentari, nei tribunali, nelle redazioni, nelle scuole.
Sul Corriere di oggi, c’è scritto che “Alberto Accastello ha voluto cancellare quello che restava del suo mondo”. Non è previsto che le donne costruiscano il proprio mondo e dovrebbero solo essere grate se qualcuno ne disegna uno per loro. Se lo rifiutano la pena è la morte.
Un lettore del Corriere della Sera si chiedeva quali altri modi potevano esserci per raccontare questo femminicidio. Questa è una narrazione differente:
@nadiesdaa