L'ultimo arrestato nell'indagine della procura di Milano sui commercialisti della Lega è Francesco Barachetti, imprenditore della Val Seriana già indagato e citato più volte nell'inchiesta. Nell'affare del capannone ceduto alla Lombardia film commission "si mostra altamente determinato ad ottenere il massimo profitto". Accusato di concorso in peculato e fatture false per l'accusa "è in grado di rapportarsi alla pari con esponenti del mondo delle professioni che vantano entrature politiche di prim’ordine"
“Questo qui ha fatto lavori per la Lega per due milioni di Euro in un anno e mezzo. Questo qui era un idraulico che aggiustava i tubi delle caldaie. Ma come mai?”. Questo qui è Francesco Barachetti, l’ultimo personaggio finito agli arresti nell’inchiesta sui commercialisti della Lega. A definirlo “un idraulico che aggiustava i tubi delle caldaie” è Michele Scillieri, il professionista che aveva “prestato” il suo studio in via delle Stelline a Milano come prima sede della Lega per Salvini premier, la versione sovranista del partito di Alberto da Giussano. “Com’è che Di Rubba ha messo su un autosalone di macchine di lusso poco lì accanto a Barachetti, che ha comprato un edificio dove ha fatto la sede grandiosa della sua società? Ma da dove arrivano i soldi? Ma come mai la società di noleggio auto ha fatturato quasi un milione di euro alla Lega in un anno?”, si chiedeva Scillieri intercettato il 14 maggio del 2020. Parole che per gli inquirenti sono importanti visto che il giudice per le indagini preliminari, Giulio Fanales, le inserisce nelle 70 pagine della misura cautelare di Barachetti.
Soldi in Val Seriana – L’indagine del procuratore aggiunto Eugenio Fusco sui professionisti della Lega, infatti, è tutt’altro che chiusa. Oltre a Barachetti, accusato di concorso in peculato ed emissione di false fatture, nel registro degli indagati sono finiti altri due nomi: quelli di Pierino Maffeis e di Elio Foiadelli, amministratori di società che per la procura hanno giocato un ruolo in questo complesso risiko di bonifici, fatture e lavori mai fatti. Un puzzle che da Casnigo e Gazzaniga, piccoli centri della Val Seriana, passano per Bergamo e arrivano fino alla periferia nord di Milano e a via Bellerio, dove c’è la storica sede della Lega. E dove Barachetti ha lavorato con la sua azienda: negli ultimi tempi aveva cominciato ad occuparsi delle sanificazioni anti Covid. Il 10 settembre nell’indagine della Guardia di Finanza sono già finiti ai domiciliari sia Scillieri che Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, rispettivamente direttore amministrativo e revisore contabile del Carroccio al Senato e alla Camera: sono i personaggi principali dell’indagine. A luglio era stato invece fermato Luca Sostegni, considerato un prestanome di Scillieri, che ha cominciato a collaborare coi magistrati. Al centro dell’inchiesta, come è noto, c’è l’acquisto da parte di Lombardia film commission – all’epoca presieduta da Di Rubba, scelto in quota Lega Nord – di un capannone a Cormano, da una società gestita da Fabio Barbarossa, cognato di Scillieri. La compravendita, per l’accusa, era stata compiuta al prezzo gonfiato di 800mila euro: soldi pubblici, una parte dei quali è stata retrocessa a Di Rubba e Manzoni.
Barachetti, l’idraulico russo che lavorava per la Lega (e comprava rubli) – Oggi a finire agli arresti è Barachetti, già indagato e citato più volte nelle informative della Guardia di finanza: i domiciliari sono scattati perché per il gip “ricorre un concreto e attuale pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede”. In pratica può reiterare i reati, visto che – tra le altre cose – “reperisce con facilità, un individuo disposto a fungere da prestanome nel suo interesse”, scrive il gip. Pregiudicato (nel 2004 è stato condannato in via definitiva a un anno quattro mesi per cessione di stupefacenti), ex consigliere comunale con una lista d’ispirazione leghista a Casnigo in Val Seriana, è titolare del 95% della Barachetti service, società il cui rimanente 5 % è in mano alla moglie russa, Tatiana Andreeva. E sono proprio i contatti con la Russia che hanno un peso nelle esigenze cautelari: “Non può non sottolinearsi l’acclarata disponibilità, in capo al Barachetti, di un sicuro canale internazionale, utile a convogliare, in tutto o in parte, verso un paese extra Unione Europea, la Russia, le somme di derivazione pubblicistica oggetto d’impossessamento“, scrive il giudice. Degli 800mila euro usciti dalle casse della Regione Lombardia, infatti, più di duecentomila finiscono nelle casse di Barachetti attraverso un complesso giro di bonifici. Di questi, 45mila euro vengono usati per acquistare rubli russi, poi girati alla società Sozidanie OOO, con sede legale nelle vicinanze di San Pietroburgo, presso la Banca Sberbank in Mosca. Il bonifico riporta come causale: “Purpose of payment buying property”. È solo uno dei mille rivoli di questa storia fatta di soldi e rapporti di alto livello. “L’imprenditore Barachetti – scrive il gip – è in grado di rapportarsi alla pari con il presidente della fondazione di diritto pubblico e, più in generale, con esponenti del mondo delle professioni che vantano entrature politiche di prim’ordine, tanto da avanzare nei loro confronti, mediante minaccia, pretese sempre crescenti in merito alla spartizione del profitto illecito”.
“Quando abbiamo fatto tutti i conti nessuno ci perdeva” – Secondo le indagini della procura di Milano l’imprenditore della Val Seriana è l’uomo che guadagna di più dall’affare del capannone di Cormano. “In sostanza – scrive il giudice – il Barachetti concepisce ed implementa un articolato sistema negoziale, avente ad oggetto l’appalto delle opere edili da parte della committente Immobiliare Andromeda s.r.l. in favore delle società appaltatrici gestite di diritto o di fatto dall’indagato, destinato primariamente a celare, dietro all’esecuzione dei lavori appaltati, quantomeno soltanto parziale e notevolmente tardiva, il definitivo impossessamento della provvista pubblica, in parte a beneficio dell’odierno indagato ed in altra parte a vantaggio di ulteriori membri del sodalizio“. In pratica l’immobile di Cormano viene ceduto a 800mila euro (prezzo doppio rispetto a quello d’acquisto di pochi mesi prima ndr) perché la società immobiliare Andromeda si era impegnata ad occuparsi della “sistemazione interna ed esterna, realizzazione degli impianti elettrico e di riscaldamento-raffreddamento“. Lavori che vengono affidati alla Eco srl, amministrata da Maffeis ma nei fatti – secondo gli inquirenti – gestita dallo stesso Barachetti. Nelle carte dell’inchiesta gli investigatori hanno quantificato che la società Immobiliare Andromeda, proprietaria dell’immobile che cede alla Lombardia film commission, “riconosce all’appaltatrice Eco s.r.l. un corrispettivo per le opere commissionate, pari ad Euro 650.000,00, del tutto esorbitante“. Un capannone comprato sulla carta a 400mila euro (ma ne fatti mai pagato), venduto a una fondazione pubblica per il doppio dei soldi, quasi tutti usati per ristrutturarlo: è evidente che nell’affare i conti non tornano. Se ne accorge pure Scillieri. “Quando all’inizio abbiamo fatto tutti i conti nessuno ci perdeva. Quindi la proprietari prendeva la sua parte; quello lì (da intendersi Sostegni ndr) prendeva la sua parte; io (da intendersi Scillieri, tramite Barbarossa ndr) prendevo la mia parte e voi (da intendersi Di Rubba e Manzoni ndr) prendevate…. E’ andata storta ad un certo punto”, diceva il commercialista intercettato con Di Rubba.
“Soldi reimpiegati per finalità estranee all’appalto” – Ma perché, come dice Scillieri, l’affare del capannone è andato storto “a un certo punto”? Annota il gip: “Inspiegabile risulta, almeno all’apparenza, il comportamento della Eco. La società, malgrado non abbia ottenuto alcun introito finanziario dal tempo del conferimento del capitale sociale, ad eccezione della cospicua somma versatale dall’Immobiliare Andromeda a titolo di acconto (Euro 400.000,00), riversa immediatamente gran parte della provvista nelle casse della subappaltatrice Barachetti Service s.r.l., peraltro a notevole distanza dalla futura realizzazione degli impianti oggetto del subappalto, così privandosi delle risorse economiche indispensabili per l’esecuzione delle opere commissionatele da Immobiliare Andromeda”. Che ne fa Barachetti di quei soldi? Li reimpiega “per finalità del tutto estranee a quanto oggetto di subappalto e così sostanzialmente disperse”. Una parte del denaro, come abbiamo visto, viene inviata in rubli a una società con sede legale nelle vicinanze di San Pietroburgo. Un’altra parte ancora viene trasferita su conti intestati a società terze, che alla fine servono “per l’acquisto di due immobili da villeggiatura, fittiziamente intestati ad un’ulteriore società di comodo, ma in realtà destinati ad arricchire il patrimonio del presidente della fondazione, Di Rubba Alberto, e del suo più stretto sodale, Manzoni Andrea”. Sono le due villette sul lago di Garda recentemente sequestrate dagli inquirenti. “In conclusione – è il conto che fanno gli investigatori – il Barachetti, dopo avere ricevuto il complessivo importo di Euro 390.000,00, in virtù di bonifici disposti dalla Eco s.r.l. in favore della Barachetti Service s.r.l., retrocedeva a vantaggio del soggetto munito della qualifica pubblicistica, Di Rubba Alberto, e del suo più stretto sodale, Manzoni Andrea, il complessivo importo di Euro 188.444,00″. La parte rimanente – cioè 201.556,00 euro – viene “definitivamente incamerata dalla società rappresentata dal Barachetti, salva la parziale distrazione a favore del conto della società russa Sozidanie OOO presso la Banca Sberbank in Mosca”.
Duecentomila euro per l’ex idraulico – Insomma alla fine la fetta più grossa della torta spetta all’ex idraulico di Casnigo. L’imprenditore “si mostra altamente determinato ad ottenere dall’affare illecito il massimo profitto, tant’è vero che riesce a riservarsi ed a trattenere in via definitiva, all’esito della vicenda, una quota significativa del denaro in origine erogato da Regione Lombardia, oggetto di appropriazione illecita (somma incamerata dall’indagato pari ad Euro 201.556,00, a fronte di un capitale pubblico pari ad Euro 800.000,00)”, è scritto nelle accuse. Nelle carte dell’inchiesta, tra l’altro, gli investigatori appuntano che “oltre nell’analisi delle circostanze da ritenersi sintomatiche della natura sostanzialmente appropriativa dello schema adottato, occorre sottolineare il significativo comportamento serbato dal Barachetti immediatamente dopo l’inizio dei lavori”. In pratica l’imprenditore cominciò ad avanzare “con sempre maggiore insistenza, nei confronti dei coindagati, la pretesa di continui aumenti del prezzo, arrivando a minacciare gli interlocutori d’interrompere definitivamente i lavori. Le sue pretese, d’altronde, non vengono affatto ignorate dai coindagati, quali rivendicazioni contrattuali prive di fondamento, bensì ascoltate e, almeno in parte, accolte, tanto è vero che sarà proprio lui ad essere considerato dal Di Rubba il sodale maggiormente arricchitosi grazie all’affare illecito“. In pratica dopo essersi accordati per una somma di denaro, Barachetti comincia ad aumentare il suo prezzo con Di Rubba, Manzoni e Scillieri per mettere a posto il capannone. Per il gip “il comportamento serbato dal Barachetti trova logica spiegazione proprio nell’usuale dinamica degli affari illeciti di gruppo, laddove ciascun partecipe tenta di ritagliarsi, se del caso con prepotenza, la porzione maggiore nella spartizione del profitto“. Tra gli indizi a carico anche il tentativo di “comprare il silenzio” di Sostegni. Il prestanome di Scillieri, infatti, a un certo punto comincia a minacciare i commercialisti: o gli davano quanto pattuito – 30mila euro – o sarebbe andato a raccontare tutto ai giornali. Barachetti tenta di mettere a tacere Sostegni “nella consapevolezza della propria vulnerabilità quale partecipe all’illecito, come d’altronde confermato dall’uso dell’ennesimo negozio giuridico simulato e dalla marcia indietro innestata al momento della prima emersione di circostanze compromettenti sugli organi di stampa”.
“Lavori al capannone mai fatti” – Tra l’altro i famosi lavori di adeguamento dell’immobile, alla fine, non sono neanche stati ultimati. Almeno secondo gli inquinreti. Per il gip, infatti, l’immobiliare Andromeda si rese del “tutto inadempiente rispetto all’obbligo, sulla medesima gravante, avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori, dal momento che gli stessi non risultavano terminati né allo scadere del termine statuito nel preliminare, né al tempo del definitivo, concluso per atto pubblico del 13.09.2018″. Con due testimonianze di tecnici “è stato appurato”, spiega il giudice, “che, a seguito dello stato di morosità della Paloschi”, che deteneva il capannone prima di Andromeda, “era stata dapprima sospesa e poi definitivamente interrotta l’erogazione dell’energia elettrica” a partire dal 30 agosto 2016, con riattivazione e “contratto intestato alla fondazione, a decorrere dal 29 giugno 2018”. Un tempo “talmente breve di fornitura” che non può “avere consentito il completamento delle opere”. Nonostantegli inadempimenti la Lombardia film commission “non attiva affatto i rimedi previsti, fra i quali spicca in primo luogo l’esercizio del diritto alla restituzione del doppio della caparra versata”. Un vero affare