L’ultima volta il mondo era molto diverso da come lo conosciamo oggi. Michael Jordan giocava ancora nei Chicago Bulls, Ronaldo il Fenomeno indossava la maglia dell’Inter, Valentino Rossi aveva chiuso la sua prima stagione in 250. Nei giorni in cui Paula Jones aveva accusato di molestie sessuali il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, in Italia Rifondazione Comunista non aveva ancora ritirato l’appoggio al Governo Prodi, e la prima crisi in Aula della Repubblica era ancora meno di un’ipotesi. Geri Halliwell aveva da poco lasciato le Spice Girls, mentre Ambra Angiolini grattugiava i nervi della Penisola con il singolo “Io, te, Francesca e Davide”. Ma, soprattutto, in quell’estate del 1998 la Scozia aveva perso per 3-0 contro il Marocco, chiudendo malinconicamente il Mondiale francese all’ultimo posto del Gruppo A. Poi più niente.

La Tartan Army è rimasta fuori da tutto. Mondiali ed Europei. Ancora e ancora e ancora. Un fallimento che ha fagocitato un allenatore dietro l’altro: Berti Vogts, Walter Smith, Alex McLeish, George Burley, Craig Levein, Gordon Strachan, Malky Mackay. Almeno fino a giovedì sera, quando la selezione guidata da Steve Clarke ha battuto ai rigori la Serbia e ha infranto un incantesimo che durava ormai da 22 anni. La Scozia andrà a Euro 2020 (che poi diventerà Euro 2021). E non ha nessuna intenzione di recitare la parte della comparsa. Anche perché a contenderle il passaggio del turno nel Girone D ci saranno Repubblica Ceca e Croazia ma, soprattutto, Inghilterra. Un match che va molto oltre il campo. Perché prima la Brexit e poi l’emergenza Covid-19 hanno fatto tornare di moda la parola “indipendenza”. Con posizioni ancora più radicali rispetto a quelle del 2014, quando il referendum per l’addio alla Gran Bretagna non aveva superato il 45% dei consensi. Ora la situazione è cambiata. E anche parecchio. Secondo alcuni sondaggi, infatti, il 58% degli scozzesi è favorevole alla secessione dal Regno Unito, mentre addirittura il 64% è convinto che, in caso di vittoria del Partito Nazionalista, si dovrebbe indire il prima possibile un nuovo referendum.

Il solco fra le due Nazioni è stato ampliato dalla cronaca de ultimi mesi. Il Parlamento scozzese, che rappresenta una popolazione di 5 milioni di persone, praticamente meno della sola Roma, è competente in settori strategici come la Sanità e ha quindi potuto stabilire le proprie norme per il contenimento del Coronavirus. Ma le decisioni chiave in tema di politica economica vengono prese a Londra. Una divisione delle competenze che ora crea malumori, alimentati soprattutto dalla paura per il futuro che verrà scritto dalla Brexit. Perché la maggioranza degli scozzesi aveva votato per restare nell’Unione Europea e ora teme di essere trascinata in un isolamento che stavolta non ha niente di splendido. Inutile dire che la qualificazione all’Europeo ha assunto tinte epiche dalle parti di Edimburgo. Anche per il modo in cui è avvenuta, con il gol di Jovic al 90’ che ha pareggiato la rete iniziale di Ryan Christie e ha prolungato l’agonia fino ai calci di rigore. Alla fine il ruolo di salvatore della Patria è toccato a David Marshall, portiere del Derby County, seconda divisione inglese, che ha parato il penalty decisivo ad Aleksandar Mitrovic. E con i suoi 35 anni, l’estremo difensore può dire di essere uno dei pochi calciatori della Nazionale non più in età da pannolino al tempo dell’ultima qualificazione scozzese a una competizione internazionale.

“È un successo che dedichiamo all’intera Nazione – ha detto Ryan Christie, il centrocampista del Celtic che ha portato in vantaggio la Tartan Army – È stato un anno orribile per tutti. Ce lo siamo ripetuti mentre ci avvicinavamo alla partita. Sapevamo di poter regalare una piccola gioia alla Scozia e spero che stasera tutti stiano festeggiando a casa”. Una gioia impensabile solo a marzo 2019, quando la Nazionale allenata da Alex McLeish aveva toccato il punto più basso della sua storia. Nella prima giornata delle qualificazioni, infatti, la Scozia era stata battuta per 3-0 dal Kazakistan, allora testa di serie numero 117 del ranking FIFA. “C’è molta inesperienza in squadra – aveva commentato il commissario tecnico a fine partite – abbiamo inserito alcuni nomi nuovi nell’ultimo anno e ci vuole del tempo, ma so che non ne abbiamo. Non è finita finché non è finita. Ci sono dei giocatori che devono rientrare”. Quella che sembrava una fine annunciata, però, si è trasformata in una lenta, lentissima, risalita. Prima il successo contro San Marino, poi la vittoria contro Cipro hanno fatto crescere la consapevolezza all’interno di un gruppo depresso e in crisi di autostima.

“L’ultima volta che la Scozia si è qualificata per un torneo internazionale avevo solo quattro anni”, aveva detto Andy Robertson alla vigilia dello spareggio contro la Serbia. Una dichiarazione che tradiva l’emozione di un ragazzo che otto anni fa rispondeva al telefono per prendere le prenotazioni dei biglietti per i concerti ad Hampden Park. Un modo come un altro per non pesare su un budget familiare piuttosto fragile. Ora quel ragazzo è diventato il capitano di una nazionale tutt’altro che solida, ma capace comunque di prendersi la sua rivincita. Perché questa qualificazione tutta particolare ha assunto un peso fondamentale per un movimento in grande crisi, che negli ultimi anni è scivolato inesorabilmente verso la periferia del calcio mondiale. Con il fallimento dei Rangers, e quindi senza Old Firm, il torneo scozzese ha perso qualsiasi forma di appeal, senza più possibilità di calamitare (e di pagare) giocatori di livello. E senza la presenza dei cugini anche il Celtic, che otto anni fa aveva battuto in casa il Barcellona fra le lacrime di Rod Stewart, ha iniziato il suo viaggio scosceso verso l’abisso. Niente derby, infatti, vuol dire meno entrate da tv, botteghino e merchandising. In una parola: ridimensionamento. Una posizione di dominio totale che il Celtic non è stato in grado di sfruttare. Come un supereroe che dopo aver battuto il suo storico avversario si ritrova a scoprire il peso della quotidianità. Una lunga decadenza che, forse, la qualificazione ai prossimi Europei potrebbe interrompere. O quanto meno alleviare.

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