Cronaca

Il San Raffaele sconfessa Burioni: dietro la polemica i conti in rosso e il braccio di ferro sui rimborsi con Regione Lombardia

L'ennesimo scontro tra virologi approda all'inedito dell'ospedale che si dissocia dal suo professore. Ma sotto sotto c'è molto di più. Il gruppo Rotelli di cui fa parte sta affrontando l'emergenza in perdita. La Regione rimborsa con le stesse quote definite nel 2019, quando non c'era il Covid, mentre le strutture rischiano il collasso. Al Pirellone si tratta da mesi senza trovare la quadra che anche il governo sollecita col Ristori Bis. Il SR non ha retto all'ennesima provocazione di chi soffia sul fuoco fomentando l'allarme

Due giorni fa il San Raffaele ha sconfessato Roberto Burioni, uno dei suoi più noti ricercatori. Con una nota ufficiale, l’istituto ha preso pubblicamente le distanze dall’eccessivo allarme che il (suo) professore ordinario di virologia fomenterebbe via Twitter, parlando di “cimiteri” e “bugie”. Un chiaro riferimento alle parole pronunciate dal professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, che ieri aveva spiegato come gli ospedali siano al collasso per colpa del panico e di accessi ingiustificati ai pronti soccorso. Burioni twitta “può essere vero, ma allora perché i cimiteri sono pieni?”. Ma la risposta è il fuoco amico del San Raffaele che dirama alle agenzie una nota in cui lo bolla di fatto come uno che parla a caso, perché “non è a conoscenza della realtà clinica che si vive nei pronti soccorso e nei reparti Covid”. Ed è vero: Burioni non ha un ruolo ospedaliero, fa il professore e il ricercatore. Non mette piede in reparto.

L’uscita è però apparsa singolare, non tanto e solo perché era il giorno in cui l’Italia registrava il record dei 580 decessi, ma anche perché nel teatrino di polemiche tra “esperti” che da mesi s’accapigliano in tv non ha precedenti. Quando l’intensivista Alberto Zangrillo, altro nome illustre del San Raffaele, a fine maggio se ne uscì con un infelice “il virus clinicamente non esiste più”, fu coperto d’insulti e bollato come negazionista; ma dal San Raffaele non ricevette né difesa d’ufficio né sconfessione ma un invito informale a non esporsi per spegnere la polemica e lui sparì per due mesi dagli schermi televisivi, stufo di doverne rispondere. La reprimenda dei vertici del San Raffaele a Burioni è dunque un fatto inedito, che ha consentito al destinatario di suscitare solidarietà persino nei suoi detrattori.

C’è però un indizio per capire il cortocircuito dell’ospedale che si dissocia dal suo stesso medico. Il 2 novembre, racconta Repubblica, la responsabile comunicazione del gruppo di cui l’ospedale milanese fa parte ha inviato ai suoi esperti più mediaticamente esposti – tra i quali lo stesso Burioni, Zangrillo, Clementi – una mail riservata che li invita a rimanere aderenti ai dati e a non fomentare l’allarme. Il documento, girato in ambienti medici, raccomanda alcuni “messaggi chiave condivisi con Paolo Rotelli”, vale a dire il presidente del Gruppo San Donato.

Sono messaggi improntati essenzialmente a rassicurare il pubblico. “Le scelte fatte finora dal governo sono tutte ragionevoli e i numeri lo stanno dimostrando – si legge – la curva dei contagi cresce, ma cresce soprattutto quella relativa ai pazienti meno gravi”. E ancora: “I numeri della ventilazione assistita e delle terapie intensive stanno crescendo molto poco” quindi “le misure adottate stanno funzionando e non serve un nuovo lockdown generale”. Infine la raccomandazione ai divulgatori legati al San Raffaele a “ricordare che ogni giorno in Italia continuano a esserci 650 decessi per infarto e 450 per tumori”. E che “tra qualche mese rischiamo di avere più morti per queste patologie che per il Covid”. Il senso del messaggio è evidente. L’obiettivo meno, visto che il numero di morti, positivi e ricoverati continua a salire.

Repubblica legge un po’ maliziosamente quelle direttive interne come censura a Burioni. Ma dietro c’è molto molto di più: c’è un gigantesco problema di spesa e di rimborsi degli ospedali Covid che chiama in causa ancora una volta Regione Lombardia, e non per meriti. Da mesi Regione e strutture pubbliche e private accreditate stanno trattando senza trovare la quadra. Il problema è presto detto: la Regione sta rimborsando sulla base dei budget del 2019, quando non c’era l’emergenza, che sono sideralmente inferiori alla spesa che le strutture sanitarie stanno sostenendo per rispondere all’emergenza. Perfino un gigante come il Gruppo Rotelli, di cui il San Raffaele fa parte – che ha sempre fatto enormi profitti con la sanità privata e in convenzione – sta lavorando in perdita.

Da marzo, su richiesta della Regione, sta dedicando 17 dei suoi 19 ospedali sul fronte del coronavirus. Era arrivato a mettere in funzione 2000 posti letto, oggi ne garantisce oltre 700, quasi tutti occupati. Da solo, dicono i dati del Gruppo, si è fatto carico del 12% della popolazione lombarda malata di Covid (8mila pazienti curati). Tuttavia Regione Lombardia riconosce ogni mese una quota del budget 2019, come fossimo epoca pre-covid. Nel frattempo il San Raffaele, come gli altri ospedali covid, sostiene spese straordinarie (per dpi, medicinali e personale) mentre l’attività chirurgica a pagamento è stata chiusa del tutto nella prima ondata e abbassata al 30% nella seconda per garantire – sempre su richiesta della Regione – la continuità delle prestazioni in regime d’urgenza non legate al virus, ad esempio quelle oncologiche e cardiovascolari per le quali l’ospedale è hub regionale.

Le trattative sui rimborsi in Regione vanno avanti da mesi senza trovare una quadra. E le strutture devono fare i conti con la differenza tra la spesa reale che stanno sostenendo e il rimborso non aggiornato all’emergenza ma basato sullo “storico”. Le ipotesi sul tavolo della trattativa sono diverse: riconoscere un extrarimborso sotto il cappello delle “funzioni non tariffabili”, assegnare ai codici DRG per Covid una quota di rimborso che ad oggi non è ancora stata decisa. Ma al Pirellone nulla è stato deciso. Nel frattempo i conti degli ospedali (privati e non) stanno sballando, perfino quelli dei paperoni della sanità. Se è un problema per la famiglia Rotelli – che grazie ai ricavi del passato ha potuto investire nel “nuovo polo chirurgico” con torre a vetri 70 milioni e altri 90 milioni per il trasloco del Galeazzi da Bruzzano ad area Expo con palazzina a 16 piani – figurarsi per chi ha meno soldi e riserve.

Il problema non è infatti solo del San Raffaele o lombardo. E infatti nel decreto Ristori Bis è stato inserito un contributo “una tantum” alle strutture sanitarie private e accreditate con il Servizio sanitario nazionale anche se hanno fatto meno visite, esami o interventi di quanto previsto dai contratti di convenzione perché le Regioni hanno sospeso “le attività ordinarie”. Il provvedimento consente in questi casi alle Regioni di erogare comunque fino al 90% del budget assegnato alla singola struttura per il 2020. Cosa c’entra la velina inviata ai medici-mediatici? Quando fa riferimento alle misure del governo (“stanno funzionando”) detta una linea di sponda a Roma che può apparire direttamente collegata al problema delle perdite che ogni gruppo sta avendo nell’emergenza, a partire dal principale che è proprio quello della famiglia Rotelli (fatturato pre-covid 1,65 miliardi).

Tornando a Burioni, cosa c’entra con tutto questo? Perché il San Raffaele lo ha così platealmente zittito? Perché in questo scenario di devastazione sanitaria e di difficoltà economica, l’ospedale e il Gruppo per cui lavora ha deciso di non digerire il messaggio che considera allarmista. Burioni ha bollato come “bugie” gli allarmi sugli assalti ingiustificati ai pronti soccorso, che sarebbero invece riscontrabili nell’incontrovertibile numero di morti.

Un’uscita che va nella direzione contraria a quella indicata da tanti colleghi – anche di altri ospedali come il direttore del Mario Negri, Giuseppe Remuzzi – che da settimane si sforzano in ogni modo di placare il panico, dicendo alla gente di stare a casa se non sta male, di contattare il medico di famiglia ma non citofonare ai pronti soccorso già in affanno se non è necessario. Perché per ogni accesso in codice verde gli operatori già in affanno su quelli in codice rosso devono registrare, visitare, usare il saturimetro, oscultare i polmoni, refertare. Non è una quesitone di dibattito tra esperti in tv. Al pronto soccorso del San Raffaele 10 giorni fa il 60% della gente veniva dimessa entro 10 ore, dunque non si era recata lì con una sintomi tali da necessitare cure ospedaliere. Per questo l’uscita di Burioni (che non sta in pronto soccorso) non è passata inosservata ma è stata anzi la goccia fa traboccare il vaso. Da qui, la nota ufficiale per zittirlo (“non è a conoscenza della realtà clinica che si vive nei pronti soccorso e nei reparti Covid”) che fa il paio con la velina per tutti i medici della scuderia (“Fate sempre riferimento alla situazione clinica che avete sotto gli occhi”).