Chi procedesse con l'acquisizione avrebbe diritto a trasformare in crediti fiscali una quota delle attività per imposte anticipate in pancia all'istituto senese. Intanto però dal resoconto intermedio di gestione emerge che per effetto della pandemia e degli accantonamenti su rischi legali la banca non riuscirà a rispettare i requisiti patrimoniali. Secondo Equita, nel breve è più probabile che intervenga il Tesoro con una ricapitalizzazione
Il Tesoro inserisce in manovra l’attesa “dote” da quasi 3 miliardi, sotto forma di crediti fiscali, per incentivare chi si comprerà il Monte dei Paschi di Siena. La mossa – per ora si tratta di bozze, il testo della legge di Bilancio non è ancora in Parlamento – arriva mentre nei conti dell’istituto senese emerge un altro ostacolo al piano di uscita dell’azionista pubblico. Per l’effetto combinato della pandemia e degli accantonamenti su rischi legali legati alla condanna in primo grado degli ex manager Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, il Monte non riuscirà a rispettare i requisiti patrimoniali dettati dalla Bce nell’ambito dell’accordo per il salvataggio del 2017. Così, per gli analisti di Equita, nel breve periodo è più probabile che intervenga il Tesoro – azionista di controllo con il 68,247% – con una ricapitalizzazione nel quadro del nuovo schema temporaneo europeo sugli aiuti di Stato.
Per ora via XX Settembre si è detta pronta ad accompagnare il “supporto patrimoniale che si dovesse rendere necessario, in futuro, per garantire il rispetto dei requisiti di capitale minimi” ma ha ribadito l’impegno a rispettare gli accordi presi con l’Unione europea trovando per l’istituto senese un investitore o un partner bancario di adeguato livello. E qui torna più che mai utile l’articolo inserito nelle bozze della manovra sugli “Incentivi alle fusioni aziendali”. Che cosa prevede? Che “in caso di operazioni di aggregazione aziendale realizzate attraverso fusione, scissione o conferimento d’azienda e deliberate dall’assemblea dei soci, o dal diverso organo competente per legge, tra il primo gennaio 2021 e il 31 dicembre 2021“, chi compra può “trasformare in credito d’imposta una quota di attività per imposte anticipate (deferred tax asset – Dta) riferite a perdite fiscali e eccedenze Ace (Aiuto alla crescita economica, ndr) maturate fino al periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di efficacia giuridica dell’operazione e non ancora utilizzate in compensazione o trasformate in credito d’imposta a tale data”. Mps ha 3,7 miliardi di Dta fuori bilancio.
L’importo massimo di Dta che può diventare credito di imposta, fornendo un assist considerevole al bilancio dell’acquirente, è pari al 2% delle attività del soggetto acquisito: poco meno di 3 miliardi. Senza questa norma, ricorda Equita, Unicredit in caso di acquisizione di Mps “non avrebbe potuto probabilmente utilizzare nei prossimi due anni” le dta alla luce di una attesa “redditività ridotta”.
Dal resoconto intermedio di gestione al 30 settembre 2020 è emerso che “a seguito degli accantonamenti sui rischi legali operati nel terzo trimestre 2020 e dell’aggiornamento delle stime degli impatti regolamentari e di quelli legati al perdurare della pandemia” è emerso uno “scenario di shortfall rispetto ai requisiti patrimoniali Srep, per il quale si stanno valutando iniziative di rafforzamento patrimoniale“. Con scenario shortfall si intende la probabilità massima di avere un risultato inferiore al rendimento minimo richiesto dalla Banca centrale europea, secondo cui il gruppo deve rispettare nel 2020 un requisito patrimoniale Srep complessivo dell’11% a livello consolidato.