Ristoranti, caffè e palestre sono i luoghi dove è più facile contrarre il coronavirus. Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori americani che hanno condotto uno studio diffuso su Nature prima della pubblicazione e attualmente sottoposto a revisione tra pari, hanno utilizzato i dati anonimi forniti da 98 milioni di cellulari in dieci delle più grandi città degli Stati Uniti, tra cui Chicago, New York e Philadelphia e hanno così potuto mappare il modo in cui le persone si sono spostate in 57mila quartieri in punti di interesse come, appunto, ristoranti, chiese, palestre, hotel, negozi per 2 mesi a partire da marzo. Il modello “fornisce indicazioni concrete su quelle che possono essere le misure per contenere la diffusione della malattia, limitando allo stesso tempo i danni all’economia”, ha dichiarato Thiemo Fetzer, economista dell’Università di Warwick a Coventry.
La riprova dell’esattezza di questo metodo di analisi è arrivata dallo studio dei dati raccolti nella città di Chicago tra l’8 marzo e il 15 aprile. Una volta ottenuto il numero di infezioni registrate ufficialmente in quei quartieri un mese dopo, i ricercatori hanno scoperto che il modello li aveva previsti con precisione già prima, in base agli spostamenti dei telefoni attenzionati. “Siamo in grado di stimare fedelmente la rete di contatti tra 100 milioni di persone per ogni ora del giorno. Questo è l’ingrediente segreto che abbiamo “, affermano.
Partendo da questo, i ricercatori hanno iniziato a simulare diversi scenari. Hanno scoperto che l’apertura di ristoranti a pieno regime ha portato al maggiore aumento delle infezioni, seguito dalle palestre, caffè, hotel e motel. Se Chicago avesse riaperto i ristoranti il 1 maggio, ci sarebbero state quasi 600mila infezioni in più quel mese, mentre l’apertura delle palestre avrebbe prodotto 149mila infezioni in più. Se tutti questi luoghi fossero aperti, il modello ha previsto che ci sarebbero stati 3,3 milioni di casi aggiuntivi, si legge nello studio. Se il limite di occupazione per tutte le sedi fosse ridotto al 30% si ridurrebbe anche il numero di infezioni aggiuntive a 1,1 milioni, al 20% le infezioni in più sarebbero invece ridotte di oltre l’80% a circa 650mila casi.
Più esposte alla malattia sono le persone che vivono nei quartieri più poveri delle città. Sono meno in grado di lavorare da casa e i negozi che visitano per i rifornimenti essenziali sono spesso più affollati che in altre aree. Il negozio di alimentari medio nei quartieri più poveri ha avuto il 59% di visitatori orari in più e questi sono rimasti in media il 17% del tempo in più rispetto ai negozi al di fuori di quelle aree. Tutte informazioni che, se confermate dalla revisione, potrebbero essere utilizzate dai governi per poter attuare chiusure mirate e più impattanti nella lotta alla diffusione del coronavirus.