L’ordine per la Strage di Pizzolungo partì dalla mafia palermitana. L’obbiettivo era uccidere quel magistrato arrivato a Trapani dal nord Italia, ma l’autobomba esplosa il 2 aprile 1985 fece saltare in aria l’auto su cui viaggiavano Barbara Rizzo e i gemellini Beppe e Tore Asta. Si salvò invece il pm Carlo Palermo, che da allora non ha smesso di interrogarsi sull’esplosivo che avrebbe dovuto ucciderlo. A 35 anni di distanza il gup di Caltanissetta ha condannato a 30 anni di carcere Vincenzo Galatolo, boss dell’Acquasanta da tempo in carcere, anche per altri omicidi eccellenti. Una condanna da aggiungere a quelle di Totò Riina, Antonino Madonia e Vincenzo Virga, emesse nel corso di questi decenni. Ma anche per rilanciare gli interrogativi, tuttora aperti, sugli esecutori dell’attentato. Il processo a Galatolo, ribattezzato ‘Pizzolungo quater’, si è svolto con il rito abbreviato. “Nonostante sia il quarto processo sulla Strage, ritengo ci sia ancora molto da approfondire”, ha commentato dopo la sentenza il procuratore aggiunto Gabriele Paci, titolare del processo assieme al sostituto Pasquale Pacifico.

Il profilo di Vincenzo Galatolo, nel corso di vari procedimenti, è emerso come un “importante elemento di raccordo della organizzazione Cosa Nostra di Sicilia con soggetti ‘esterni’ ad essa desumibile da una lettura del più ampio contesto probatorio”, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio presentata dai pm di Caltanissetta. Inoltre il boss è stato condannato in via definitiva per l’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e come esecutore del fallito attentato dell’Addaura (assieme al nipote Angelo). La strage, secondo le sentenze fin qui celebrate, è da inserire “all’interno della strategia stragista dell’ala corleonese di Cosa nostra elaborata da Totò Riina e dalle famiglie palermitane a esso alleate”. Il magistrato era in viaggio da Bonagia al palazzo di giustizia di Trapani, a bordo di una 132 blindata, percorrendo l’unica strada utile. Ma tra la sua vettura e l’auto carica di tritolo si frappose quella guidata da Barbara Rizzo che stava accompagnando i figli a scuola. Al momento dell’esplosione l’auto della famiglia fece da scudo alla blindata del magistrato.

Tra i nuovi elementi raccolti, che hanno permesso di processare il boss dell’Acquasanta come mandante, ci sono le dichiarazioni della figlia, Giovanna Galatolo. “Non appena il telegiornale diede la notizia – ha riferito la donna ai magistrati – mia madre iniziò a urlare: ‘I bambini non si toccano. Mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa. Avevo vent’anni – ha detto Giovanna – a casa sentivo mio padre che diceva: ‘Quel giudice è un cornuto‘. Poi, si verificò l’attentato. E mi resi conto, anche mia madre capì. Non si dava pace”. Nell’attentato rimasero gravemente feriti i due agenti di scorta del pm, Antonio Ruggirello e Salvatore La Porta. “Le indagini che si devono necessariamente svolgere dovranno chiarire cosa c’è realmente dietro a questa Strage che resta una delle più misteriose all’interno della storia criminale di Cosa Nostra”, ha aggiunto il pm Paci in seguito alla lettura del dispositivo di sentenza in aula.

Uno dei punti irrisolti però riguarda le modalità dell’attentato. Il magistrato Carlo Palermo arrivò a Trapani da Trento, dove aveva condotto un’indagine su un network criminale operativo nel traffico di armi e droga, che arrivava fino alla politica, di colore socialista. Al suo arrivo in Sicilia, dopo un breve alloggio all’interno dell’aeroporto militare di Birgi, fu trasferito nella frazione di Bonagia. I mafiosi lo controllarono per alcuni giorni, ipotizzando un omicidio con un kalashnikov. Il magistrato la sera portava a spasso il cane: quello era il momento giusto. L’attentato poi però fu organizzato diversamente. Nel giro di pochi mesi un drappello di picciotti di Alcamo e Castellammare del Golfo finirono in carcere, tra cui Mariano Asaro, Gioacchino Calabrò e Vincenzo Milazzo. Quest’ultimo finì in cella con Giuseppe Ferro, che quando si pentì disse di avergli sentito dire: “Adesso bisogna vedere se Craxi ci tira fuori da questa indagine”. Poi tutti gli esecutori furono assolti dalla Cassazione.

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