È stato l’uomo dietro al successo elettorale di Boris Johnson nel 2019, nonché falco della campagna Leave, che ha portato la Gran Bretagna al divorzio da Bruxelles. Ma ora Dominic Cummings, consigliere capo del premier Tory noto anche per avere violato il lockdown la scorsa primavera, lascia, dopo settimane di faida interna al partito, che così spera di ottenere dalla Ue una linea più morbida sulla trattativa per l’uscita e di rivitalizzare l’immagine di Johnson, piegato da una gestione disastrosa della pandemia – che nel Paese ha fatto più di 50mila morti – e da una pesante crisi economica. La Bbc spiega che le sue dimissioni hanno effetto immediato, mentre altri media inglesi riferiscono di aver visto l’ex potentissima eminenza grigia di Downing Street uscire stasera dal portoncino al numero 10 della sede ufficiale del governo con alcune scatole in cui aveva appena impacchettato le sue cose. Un addio che arriva all’indomani delle dimissioni imposte al direttore della Comunicazione del governo, Lee Cain, suo fedelissimo.

Le possibili ripercussioni sui negoziati con Bruxelles – C’è voluta la spinta della giovane fidanzata Carrie Symonds, ma alla fine Johnson ha scaricato il suo controverso Rasputin personale, uscito perdente dallo scontro di potere con la futura first lady nel quadro di un più generale redde rationem tra fazioni opposte dell’entourage del primo ministro britannico. Lo scontro tuttavia minaccia adesso di far traballare davvero, di qui a qualche mese, come si vocifera da tempo, lo scranno di BoJo in persona: specie se la crisi legata al coronavirus e al dopo Brexit dovesse diventare uno tsunami e se il Partito Conservatore andasse incontro a una pesante sconfitta alle tornata di elezioni amministrative del maggio 2021.

Un portavoce di Johnson si è limitato a negare che la vicenda possa partorire un ammorbidimento di Londra nel negoziato con Bruxelles, prossimo la settimana entrante all’ultimo giro di giostra, sulle relazioni future commerciali post divorzio; e giurando che le condizioni minime per evitare un no deal potenzialmente catastrofico “restano immutate”. Puntualizzazione che del resto non impedisce al Times di profetizzare al contrario qualche concessione “diplomatica” imminente, se non altro in omaggio al passaggio di consegne al timone del grande alleato americano del prudente Joe Biden al posto dell’amico ‘tifoso’ brexiteer Donald Trump.

Silurato lo stato maggiore di “Vote Leave” – Sia come sia, il benservito al 48enne Cummings è un terremoto politico. Il segnale della liquidazione, in coppia con Cain, dello stato maggiore di Vote Leave, centro di comando della trionfale campagna per l’uscita dall’Ue di cui Dominic fu la mente e Boris il volto più popolare. Il tutto in favore di un maggiore potere d’influenza affidato a tecnocrati più defilati, nonché al clan di consigliere-donne (johnsoniane e brexiteer, ma meno brutali di Cummings e compagni nei rapporti con la nomenklatura tradizionale Tory) vicine in un modo o nell’altro alla 32enne Symonds: in primis Allegra Stratton, ex giornalista di Bbc e Itv chiamata a salvare l’immagine e la declinante popolarità del primo ministro – azzoppata dalle polemiche sulla gestione della pandemia fino a spalancare le porte alla rimonta nei sondaggi dell’opposizione laburista del rassicurante leader post-Corbyn, Keir Starmer – dopo aver promosso con successo sui media d’establishment quella del rampante cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak. Creatura politica di Dom Cummings che paradossalmente sembra ora poter rubare la scena (e presto o tardi il posto) a BoJo.

Dal fronte del Labour, intanto, si continua a sparare a zero sulle “patetica” lotta per il potere a Downing Street in pieno lockdown. Mentre dalla parrocchia Tory non manca il sollievo di chi – compresi falchi euroscettici come l’ex ministra Theresa Villiers, esclusa senza troppi complimenti da ogni poltrona sotto la sferza di Cummings – saluta come una liberazione l’annuncio del rimpasto nello staff del premier e auspica “un nuovo inizio” poiché “nessuno è indispensabile”. “I consiglieri vanno e vengono, ma Dominic ci mancherà”, replica un ministro in carica, il titolare dei Trasporti Grant Shapps: conscio che in fondo senza il guru della Brexit, e i suoi slogan, non si sarebbero vinti né il referendum del 2016 né le elezioni politiche del dicembre scorso.

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