di Donatello D’Andrea
Mentre Donald Trump continua a parlare di brogli e di truffe circa l’esito delle elezioni, i suoi ricorsi non stanno dando i risultati sperati. Alcune Corti locali, da cui sono partite le istanze del tycoon, hanno respinto i ricorsi, altre non li hanno accettati per errori formali nella composizione della domanda. Da quest’ultima considerazione potremmo intuire quanto sia gli avvocati che lo stesso Presidente in carica non abbiano le idee chiare su cosa contestare nello specifico.
Si continua a rimanere nel vago, mentre i suoi sostenitori diffondono fake news che non fanno altro che polarizzare ed esasperare il clima politico e sociale che gravita attorno alla tornata elettorale, dando l’impressione di una vittoria risicata, avvenuta per caso e non con 6 milioni di voti di scarto (il margine più ampio della storia americana), con proiezioni che danno Joe Biden a 306 grandi elettori, proprio come Trump nel 2016.
Inoltre, i network hanno chiamato anche l’Arizona, finita nelle mani dei democratici per la terza volta nella storia. Non un particolare da poco.
Si tratta della classica strategia del “tutto fa verdura”, che non ha l’obiettivo di compiere un ribaltone, bensì di avvelenare le acque. Donald Trump si è costruito nel corso degli anni un’immagine di uomo vincente. Accettare la sconfitta, lasciando la carica senza colpo ferire, rappresenterebbe una macchia indelebile sul suo curriculum.
Le possibilità che Trump mantenga la carica o che non venga riconosciuta la vittoria di Biden sono bassissime, inesistenti. Sei milioni di voti e 290 elettori rappresentano una vittoria netta, in attesa di North Carolina – che andrà a Trump – e della Georgia, dove ci sarà un riconteggio che probabilmente darà il democratico come vincitore.
Dal punto di vista giudiziario, inoltre, le prove non ci sono. Anche l’autorità elettorale degli States si è espressa in favore del lecito svolgimento delle elezioni. “Non ci sono prove di schede prese, modificate e violate”.
Se dovessimo spostare la visuale sulla fattispecie politica dei ricorsi, l’ipotesi più realistica sarebbe quella secondo cui Donald Trump stia preparando il terreno per la sua futura candidatura nel 2024. Sicuramente gli ostacoli da superare, in questo senso, non sono pochi. In primis superare le reticenze del Partito Repubblicano di dotarsi, ancora una volta, di un uomo così divisivo come il tycoon, ma una campagna elettorale efficace e coinvolgente potrebbe far cambiare loro idea. Il motto potrebbe essere “riprendiamoci ciò che ci hanno tolto”, sfruttando la pubblicità dei media, compattando l’elettorato su posizioni estreme, attivando tutta la base repubblicana attraverso temi a loro molto cari (come l’aborto).
Le mosse del tycoon, qualunque esse siano, non sono una buona notizia per la democrazia. Avvelenare le acque, radicalizzare l’elettorato aizzandolo contro le istituzioni, potrebbe avere delle conseguenze davvero gravi sull’ordine costituito, aprendo una ferita sociale difficilmente rimarginabile dalle prossime amministrazioni.
La speranza è che gli Usa abbiano gli anticorpi per resistere alle bordate terrificanti della forma più pericolosa di populismo.