Televisione

Pose, nella serie Netflix le vite di un gruppo di trans e gay newyorkesi sconvolte dall’incubo Hiv

Pose (serie Netflix di due stagioni, rispettivamente otto e dieci episodi tristemente legati anche alle cronache pandemiche di oggi e più avanti vi spiegherò perché) ci racconta in modo meraviglioso – proprio nel senso etimologico del termine – il microcosmo di un gruppo di transessuali e gay newyorkesi della comunità Lgbtq afroamericana e latina, seguendone le esistenze dai primi anni 80 a metà anni 90, periodo segnato dalle coloratissime Ballrooms (sorta di gare a tema dove le protagoniste si sfidavano attraverso esibizioni e mise da capogiro). E dove alcune fra loro creavano le cosiddette “Families”: le trans più dotate di carisma, dette “Mothers”, adottavano figlie e figli (ovviamente non biologici) solitamente strappati alla strada e a un’esistenza border line. Tutto realmente avvenuto nella Grande Mela.

Ideata da Ryan Murphy (American Horror Story, Glee, American Crime Story), Pose racconta di quel mondo Lgbtq chiuso in se stesso, i cui membri si appoggiavano l’ un l’altro, agli antipodi rispetto alla competitiva società Usa di quegli anni. Comunità (ingenuamente) competitive pure loro, certo, ma le cui sfide si svolgevano solo per conquistare i trofei delle Ballrooms e primeggiare in bellezza. Comunità tollerate solo a patto che non osassero mettere la testa fuori dalla propria cerchia autoprotettiva.

Del resto, come scrive Maria Capozzi su Nocturno on line “siamo nell’epoca di Reagan, in cui si va imponendo la Trump Tower, che simboleggia il sogno americano – giovani e rampanti uomini in giacca e cravatta, ossessionati dalla scalata aziendale, con moglie e figli a casa ad aspettare”. Salvo quelli, come avviene in Pose, che si innamoravano di una trans, ma erano talmente massacrati dai sensi di colpa nei confronti delle mogliettine e dei figlioli e dai giudizi dei colleghi, da perdere la vera unica occasione di libertà emotiva della propria agiata ma routinaria vita da manager di Wall Street.

La serie offre momenti di alta comicità, battute fulminanti delle splendide e bravissime protagoniste (le attrici trans MJ Rodriguez, Indiya Moore, Dominique Jackson) coadiuvate da un grande Billy Porter, tutte bellissime ed elegantissime, che sfoggiano abiti diversi a ogni scena che neppure Su Li-Zhen in In the Mood of Love di Wong Kar-wai. La serie offre anche momenti cupi, senza, però, “sforare” né da una parte né dall’altra, regalandoci, fra l’altro, una colonna sonora straordinaria (da Diana Ross a Donna Summer, da Whitney Houston a Bryan Ferry, da Grace Jones a Janet Jackson, solo per citare i nomi più noti).

In pochi anni il clima cambia: il virus dell’Aids comincia a mietere pubblicamente vittime. Molte nel mondo Lgbtq. Inizialmente la malattia era stata battezzata Grid (Gay-related immune deficiency) in quanto si pensava che solo le comunità omosessuali, gli eroinomani, ma anche gli haitiani e gli emofiliaci, la contraessero. Oggi sappiamo che non era così o che, per lo meno, non lo era in modo univoco. E già nel luglio ’82 veniva coniato il termine Aids.

Pare che il virus responsabile, l’Hiv, provenisse dal Congo, presente già alla fine degli anni 50 e, prima ancora, dagli scimpanzé. Gli studi più recenti hanno acclarato che già nel ’69 l’Hiv era presente negli Usa. La malattia – e qui uno dei temi centrali di Pose si fa tragicamente attuale, dagli scimpanzé siamo passati ai pipistrelli… – interferisce con il sistema immunitario limitandone l’efficacia. Secondo il rapporto Unaids 2009, in tutto il mondo ci sono state “circa 60 milioni di persone contagiate sin dall’inizio della pandemia” di Aids “e circa 25 milioni di morti”.

Anche allora non mancavano i complottisti, quelli che sentenziavano che l’Hiv era un’invenzione del governo americano, oppure russo, per eliminare dalla faccia della Terra il più alto numero possibile di gay, ispanici o neri, oppure che era stato creato dalle holding mondiali del farmaco per arricchirsi rendendo i malati schiavi dei loro prodotti. Senza considerare il ruolo che ebbe allora la Chiesa cattolica che osteggiava l’uso del preservativo (il solo mezzo sicuro per non contagiarsi) e predicava l’astinenza. I pamphlet in questo senso si sprecavano. Oggi, con Papa Francesco, le cose sono cambiate, fortunatamente.

E tutti sappiamo, grazie anche ai progressi della medicina che hanno ridotto notevolmente le morti per Aids, che si trattava di baggianate negazioniste pari alle attuali sul Covid. In effetti, ciò che distingue l’Aids dal Covid-19 è che il primo si trasmette soprattutto per via sessuale, il che creò allora persino le ridicole teorie dei peccatori puniti da Dio come fu per la peste nera quando una delle cure consigliate era quella di spezzettare una pagina della Bibbia in un bicchiere di vino e bere tutto d’un fiato… ma eravamo nel XIV secolo!