Società

Quella volta che visitai in ospedale il mio amico che per essere matto era abbastanza normale

Il post odierno è destinata a entrare nella storia – come l’incontro del disgelo tra Gorbaciov e Reagan in quel di Reykjavik – per gettare un ponte tra due categorie di esemplari disabili sempre invisi tra loro, i mentali e i fisici (ne approfitto per salutare i fisici del pianeta, che ci seguono sempre). A fare da portabandiera di questi ultimi, chi peggio del sottoscritto? Per i primi invece chi meglio dell’amico del sottoscritto Alf? Ovviamente Alf non è il suo vero nome, ma lo prendiamo in prestito dal protagonista extraterrestre di una vecchia sit-com. L’incontro non avrà luogo nella misteriosa Islanda, ma all’ospedale San Gerardo di Monza, ai cui operatori esprimiamo tutta la nostra vicinanza, nel reparto di Psichiatria (ribattezzata “la Casa dei Matti”). E che la follia abbia inizio…

Questa storia comincia a tessere la propria tela a partire dalla telefonata Madre di Alf al principio di qualche anno fa, della quale le intercettazioni confermerebbero le testuali parole: “Nico, risposta secca: secondo te sono bipolare?”, e la risposta fu spietatamente all’altezza, del resto questo è il nostro modo di comunicare: “Tenuto conto che a metà dicembre volevi lasciare tutto per fare il pescivendolo e un mese dopo decidevi di iscriverti al concorso per intraprendere la carriera diplomatica, beh io direi di sì“.

Dalla telefonata Madre il passo al ricevere il WhatsApp più originale dalla storia è breve, questo quando non sono io a eseguirlo… il passo, s’intende. Con la mia proverbiale velocità, leggo il messaggio in mezza giornata: “Nico, mi sono fatto ricoverare in psichiatria: finalmente hanno capito che sono socialmente pericoloso”. Non potendo dargli torto, mi complimento con lui e lo ringrazio: “Ho sempre sognato un amico che completasse la mia disabilità e tu ora la completi appieno… adesso mi manca solo l’amico cieco”. Naturalmente da buon amico quale non sono gli telefono per avere delucidazioni in merito, e perché sono preoccupato: “Non ti sento da due mesi e tutto d’un tratto ti comporti saggiamente?”, gli domando. Allora mi spiega com’è finito nella Casa dei matti, e lo fa ridendo proprio come un matto: è già entrato nella parte, vien da dire. Vuole che vada a trovarlo, ma prima gli chiedo terrorizzato: “Non è che poi i tuoi “colleghi” mi strappano il tubo del ventilatore?”, “Tranquillo Nico, qui siamo tutti rallentati dai farmaci oppure siamo depressi“, e mi dipinge un bel quadretto invitante (in effetti la velocità nei movimenti non è la miglior peculiarità dei degenti). “Allora vieni a trovarmi?”, ribadisce Alf. “Certo che vengo”. E già mi sentivo come Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo, film che, in qualità di miei lettori, vi intimo di vedere (e saluti a Jack).

Al netto della paura di gesti inconsulti da parte dei residenti della struttura – ­alcuni matti sono tali perché imprevedibili – decido di andare affidando la mia vita a questa infondata certezza: sarà pieno di infermieri (3 ne ho, poi, contati). In ogni caso per un amico questo e altro e, soprattutto, non mi andava di lasciarlo lì solo in quel reparto… che poi mi diventava anche depresso. Perché Alf si trovava circondato da matti conclamati, quando, per quel che da profano ne possa sapere, trovo per lui più pertinente questa definizione: per essere “normale” è un po’ matto, ma per essere matto è abbastanza normale. Inoltre ero curioso di “conoscere” un luogo così emarginato dalla società (per esempio a Monza la psichiatria è ubicata in un edificio separato dall’ospedale), perché l’emarginazione mi ha sempre provocato prurito e poi bisogna esseri rivoluzionari: più diversità per tutti! A tal proposito mi sono chiesto che effetto avrebbe sortito in loro la mia diversità; e quali sensazioni, al contrario, avrebbe provocato in me la loro e vedere come la mia diversità si rifletta in altri “diversi”.

Ma su un aspetto ero certo: l’esperienza mi avrebbe arricchito… non economicamente, ma sempre metaforicamente parlando (mai ‘na gioia).

Infine in quel folle mese di quel pazzo 2017 ero candidato anche alle amministrative come consigliere comunale per una lista civica, così Alf sostenne la mia candidatura in reparto: perché fare campagna elettorale in psichiatria è proprio da pazzi e poi qui le mie hashtag elettorali hanno trovato la loro collocazione ideale: NonVotatemiMaOffritemiUnaBirra e VotaCafagnaETeNePentirai…

(continua…)