Il commissario tecnico Marco Rossi ha seguito dalla casa di Pest la vittoria della sua Ungheria sull’Islanda, perché in settimana è risultato positivo al covid. Al minuto 88 i suoi ragazzi erano sotto di un gol, poi in pochi minuti hanno ribaltato il risultato e vinto 2-1. L’Ungheria nel 2016 era stata una delle sorprese dell’Europeo. Aveva in panchina Bernd Storck e in porta Gabor Kiraly. Allora l’allenatore italiano, cresciuto come calciatore nel Toro per costruirsi una carriera da mestierante in giro per l’Italia (ha vinto una Coppa Italia con la Sampdoria di Mancini e Gullit) e all’estero (esperienze in Messico, allenato dal Loco Bielsa, e in Germania), allenava la Honved, storico club di Budapest caduto in disgrazia e che lui ha portato alla conquista del campionato magiaro. Un’esperienza nel campionato slovacco e gli consegnano la Nazionale ungherese che nel frattempo aveva fallito la qualificazione ai mondiali 2018. Oggi Rossi può festeggiare la qualificazione all’Europeo dell’anno prossimo, grazie al secondo posto nel girone di Nations League, alla vittoria in semifinale con la Bulgaria e a quella emozionante di giovedì con l’Islanda.
Come sta, mister?
Sto recuperando, sono positivo al covid ma i sintomi se ne stanno andando.
Com’è riuscito a gestire la squadra in questa situazione?
Ho avuto con il gruppo le stesse riunioni che avrei fatto di persona, ma ovviamente in videochiamata. Li ho sentiti due ore e mezza prima del fischio d’inizio e poi li ho lasciati tranquilli. Fatto un’altra call in spogliatoio tra i due tempi. In settimana ero stato in ritiro con la squadra, risultato positivo, mi sono isolato in albergo e dopo a casa.
Ha imparato la lingua?
Capisco solo qualche parola, il magiaro è ostico. Bisogna applicarsi e studiare molto. Con un traduttore si lavora comunque bene.
Come ha vissuto la partita da casa?
Sapevo che non era una partita agevole, l’Islanda sa difendere in maniera fisica rimanendo molto bassa. Ha messo in difficoltà anche grandi squadre. All’inizio siamo rimasti sbigottiti: Gulacsi, il miglior portiere della Bundesliga, ha commesso un errore che non aveva mai fatto e mai più farà. La nostra reazione è stata graduale senza perdere mai l’equilibrio. Il pareggio poteva giungere prima. La vittoria è arrivata quando le speranze ormai si erano assottigliate. Nel calcio la fortuna ha un ruolo importante, ma aiuta chi osa e cerca sempre il risultato.
Il gol decisivo lo ha segnato il ventenne Dominik Szoboszlai. È un fenomeno il centrocampista del Salisburgo?
È un giocatore nettamente sopra la media, ma deve ancora crescere. Ha un modo di calciare unico, che è difficile pure da spiegare. È bravissimo sia sulle palle da fermo che in movimento. È destro, ma sulle punizioni mi ricorda il mio ex compagno alla Sampdoria Mihajlovic. Il nome di Szoboszlai circolava già in Under 17, che avesse talento si sapeva. Ho aspettato che giocasse con più continuità, lo ho convocato un anno e mezzo fa e poco dopo era titolare.
Che Europei saranno per l’Ungheria?
Raggiunto un obbiettivo si alza l’asticella ma in girone con Germania, Francia e Portogallo sarà durissima. Ma noi non ci prepariamo per andare là a perdere. Tre corrazzate con giocatori che provengono da top club: speriamo arrivino stanchi…
Troverà il suo ex compagno Roberto Mancini?
L’Italia ha molte più possibilità di noi di passare. Con Roberto siamo rimasti in contatto, soprattutto quando allenavo il figlio nella Honved. Ma ci siamo visti anche successivamente nei meeting Uefa. Con lui c’è un rapporto cordiale, lo abbraccerò alla prossima occasione.
Il Paese come ha vissuto questa qualificazione?
Gli ungheresi sono fenomenali in parecchie discipline olimpiche, ma il calcio è popolarissimo. C’è un amore per il pallone che forse supera quello che c’è in Italia. In condizioni diverse allo stadio ci sarebbero state 60mila persone e si sarebbe festeggiato per due giorni.
Come si sta vivendo in questi mesi a Budapest?
In generale nella capitale si vive molto bene. Manca il sole, ma io sono un torinese che ha vissuto anni a Brescia e non ci faccio molto caso. Per quanto riguarda l’epidemia, gli ungheresi sono disciplinati e rispettano le regole. Durante la prima ondata il lockdown è stato più blando e successivo a quello italiano. Ora la situazione è simile all’Italia, coprifuoco serale con ristoranti che fanno takeaway.
Nel 2017 lei vince il campionato ungherese con la Honved, dopo tanti anni che il club non ci riusciva. In quel momento non le sono arrivate telefonate dall’Italia?
Neanche una per una chiacchierata. Ma non è una polemica, bensì una constatazione. Lo so bene che il livello del campionato ungherese non è quello italiano. Io sono orgoglioso di dove sono arrivato. Senza conoscenze né appoggi di alcun tipo. Secondo me si deve valutare sempre il percorso di un allenatore, non solo il punto di arrivo ma anche quello di partenza. Per esempio Sarri è arrivato al Chelsea e alla Juve partendo dai dilettanti. Non mi pare una cosa da poco.
Nel 1995 ha giocato una stagione in Messico con l’America.
Allenatore Bielsa, una persona totalmente trasparente che diceva in faccia tutto e si aspettava lo stesso dal calciatore. In questo oggi mi ci ritrovo. Inoltre mi colpì l’attenzione con cui studiava tutti gli aspetti del calcio, per ore rinchiuso nel suo studio nel centro sportivo. Bielsa voleva chiarire ai suoi i concetti su cui puntava, allenandoli in maniera sistematica. Più che sugli schemi, lavorava sui principi di gioco: faccio questo in una situazione, e quest’altro in quell’altra. Perché a seconda dell’avversario, come ti attacca o che forza ha, bisogna avere più soluzioni. Mi piacerebbe incontrarlo di nuovo, recentemente mi sono visto invece con l’altro mio maestro Lucescu.