L'assemblea plenaria, trasmessa in diretta streaming, ha chiuso la due giorni di lavori del primo congresso della storia del Movimento 5 stelle. In apertura è intervenuto il premier. Dopo di lui il capodelegazione al governo Bonafede e poi i 30 relatori votati dagli iscritti. Schermaglie a distanza tra il ministro degli Esteri e l'ex deputato, mentre il presidente della Camera ha chiesto di abbandonare "le strategie della vecchia politica". Assenti Beppe Grillo e Davide Casaleggio
Alla fine del primo “congresso” della storia M5s c’è solo una certezza: niente è definitivo e il processo è ancora molto lungo. E’ un bene o un male? Un segno di partecipazione ritrovata o l’ennesimo rinvio per non decidere? In pochi lo sanno o al momento non sanno come dirlo. La plenaria che ha chiuso gli Stati generali del Movimento era molto attesa, ma anche molto temuta per fuori programma che alla fine, complice la gestione interamente virtuale, non ci sono stati. Il capo politico reggente Vito Crimi, presentatore e regista, tira un sospiro di sollievo e si prepara così a consegnare agli iscritti la votazione sul documento finale. Una procedura che può apparire solo burocratica, ma che di fatto è il passaggio decisivo per poter modificare lo Statuto e passare da un vertice isolato a una guida collegiale. Un cambio fino a qualche tempo fa epocale e che ora si ha solo fretta di portare a casa. Il via libera lo danno tutti per scontato, più complicato prevedere chi siederà al tavolo. Se sul palco virtuale degli Stati generali infatti gli scontri sono stati ridotti al minimo, senza neanche la possibilità di carpire uno straccio di fischio o di applauso, le tensioni interne sono apparse evidenti a tutti.
Per capire cosa si muove nella galassia sempre più contorta del Movimento basta interpretare i segnali. Intanto ad aprire i lavori, dettaglio non da poco, è stato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: leader in pectore naturale che di guidare il Movimento, almeno per ora, proprio non ne vuole sapere. Attenzione alle parole scelte: ha riconosciuto “le incomprensioni” e elogiato chi “ha il coraggio di cambiare idea”, anche andando contro i suoi valori. Poi ha ringraziato i fondatori Grillo e Casaleggio e omesso completamente la citazione di Davide, grande assente dell’assemblea. Il presidente dell’associazione Rousseau ha infatti rifiutato l’invito, pur essendo l’oggetto di molte discussioni. Ma soprattutto non c’era Beppe Grillo: il garante non ha inviato neanche un video di saluto ai suoi riuniti per la prima volta e quella è la ferità più grossa di tutte. Quel posto vuoto può voler dire tante cose e tutte sono rivoluzionarie per la struttura stessa del Movimento.
In totale sono stati trenta gli interventi dei relatori più votati dalla rete e di tutti i discorsi a restare sono, naturalmente, le schermaglie a distanza tra Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio con la ormai tradizionale (e fondamentale) mediazione di Roberto Fico che ha massacrato “cordate, correnti, strategie acchiappalike e personalismi”. La dinamica è sempre la stessa che si ripete, con qualche intervento in più: Stefano Buffagni ha chiesto di lavorare sul merito e non dimenticare il Nord (“La competenza non può essere una condanna”); la ministra Lucia Azzolina di mettere al centro delle politiche i giovani e le donne; Luigi Gallo, a nome della corrente Parole guerriere, ha fatto un appello perché il M5s non “esista solo su internet”; Paola Taverna ha invocato (come molti a onor del vero) la riforma del titolo V della Costituzione. Sullo sfondo qualche attivista ha protestato (il consigliere Matteo Brambilla ha demolito quelli che per lui sono stati “gli Stati dei generali” e Natascia Guiduzzi ha alzato un cartello per chiedere che siano pubblicati i voti presi dai singoli relatori). Si è rivista anche qualche faccia dimenticata come l’animalista Paolo Bernini che in Parlamento divenne famoso per la teoria sui microchip sottopelle o gli ex ministri Danilo Toninelli, Giulia Grillo ed Elisabetta Trenta.
La confusione c’è ed è tanta. Il Movimento si conferma alla ricerca di un’identità per “farsi valere” (parole di Di Maio) nella coalizione di governo e si aggrappa ai valori che “si sono concretizzati in leggi”, come ha detto il ministro Alfonso Bonafede. Ecco, appunto i valori: gli Stati generali avevano come primo obiettivo quello di rigenerare il M5s e dopo le 8mila assemblee delle scorse settimane i pilastri fondanti ne escono sicuramente rafforzati. Se per tutta l’estate si è parlato di rivedere la regola dei due mandati o ipotizzare coalizioni strutturali con il Pd, la linea che esce dal primo congresso è opposta: tutti i relatori, anche se con sfumature diverse, hanno chiesto alleanze solo programmatiche e nessuna deroga al tetto dei mandati. L’unico che ha fatto un passo in più è stato Fico che a parlato di “proseguire il confronto con il centrosinistra“, di fatto nominando l’alleato di governo come nessuno o quasi ha avuto il coraggio di fare. Molto vaga è rimasta la questione piattaforma: della guerra dei parlamentari contro la gestione affidata all’associazione presieduta da Davide Casaleggio, si sono visti solo alcuni sprazzi. Il presidente della Camera ha parlato di necessaria “autonomia”, ma Di Maio ha garantito che si troverà “una nuova sinergia” con Davide.
Cosa succede ora? Se lo chiedono tutti e la linea la detta Vito Crimi che finalmente può spogliarsi dal quel ruolo che ha amato e desiderato molto, ma per il quale è stato anche bersagliato per mesi dalle varie correnti. Ora insomma, tocca agli iscritti al M5s. La vera questione è chi uscirà vincitore dallo scontro dell’ala cosiddetta governista (i dimaiani) e i presunti dissidenti (Di Battista e i suoi). Probabilmente tutti e nessuno: siederanno insieme al tavolo per riuscire a far superare al Movimento la fase più difficile della sua storia. Consapevoli, su questo sono d’accordo, che in ballo c’è la vita stessa del M5s.
La benedizione di Conte. Le tre sfide per il M5s e l’importanza di “cambiare idea” – L’intervento del presidente del Consiglio non era scontato e anche per questo era tra i più attesi. Conte è stato scelto e voluto dal Movimento, ma non ha mai voluto diventare un iscritto M5s e men che meno mettersi in corsa per la leadership. Oggi, aprendo i lavori dell’assemblea, si è rivolto a quella che ha chiamato “una comunità“. “Vi siete messi in gioco”, ha detto, “e vi siete offerti di dare il vostro contributo al Paese. Siete una comunità tosta, che ha affrontato scelte sofferte, ma che non ha mai mollato”. Il premier ha riconosciuto ai 5 stelle di “aver condotto battaglie che ora sono patrimonio comune“. E da quel punto ha chiesto di ripartire: “La vostra sfida è preservare questa carica innovativa”.
Nel suo discorso il premier ha anche reso omaggio ai fondatori del Movimento: “E’ un rammarico non aver mai conosciuto Gianroberto Casaleggio“, ha detto. “Con Grillo invece ci sentiamo spesso, rimane la mente più giovane e curiosa“. I 5 stelle, “sono nati da una intuizione che costituisce la più rilevante novità degli ultimi anni”. Conte ha riconosciuto anche “le incomprensioni” che ci sono state in passato con la base: “Alcune delle mie decisioni, non mi è sfuggito, non sono state totalmente in linea con le posizioni assunte nella vostra campagna elettorale. Sono i momenti in cui siete apparsi disorientati, in cui diciamolo chiaramente si sono create incomprensioni tra di noi”. Ma ha allora sottolineato l’importanza del saper cambiare idea: “La coerenza delle proprie idee è un valore, ma quando governi devi considerare la complessità. E bisogna avere il coraggio e l’intelligenza di cambiarle. La prova del nove è spiegare con chiarezza perché si è cambiata l’idea originaria: se questa spiegazione la si può fornire, allora significa che si sta facendo la cosa giusta”.
Il premier ha chiuso parlando di “tre sfide imprescindibili” per il M5s: “La prima è che non bisogna mai perdere il contatto con la gente”, ha detto, “è uno dei rischi maggiori per chi governa”. La seconda sfida, che rievoca “l’umanesimo” di cui Conte più volte si è fatto portavoce, “è rimettere l’uomo al centro di qualsivoglia politica sociale ed economica”. Infine: “Vi siete battuti contro la logica dei privilegi, bisogna continuare a lavorare in questa direzione. Gli incarichi pubblici vanno assolti con disciplina e onore. L’etica pubblica deve essere premessa di qualsivoglia politica”. E ha chiuso: “Sono convinto che ancora una volta vi dimostrerete all’altezza degli obiettivi che vi siete posti”.
Il capo politico reggente Crimi e la sintesi delle posizioni sui pilasti M5s – Il regista degli Stati generali è anche il capo politico reggente Vito Crimi che, al termine del percorso, lascerà il testimone (almeno stando ai piani) a una nuova guida legittimata. A lui è spettato il compito di fare sintesi di quanto deciso tra assemblee locali e tavoli di lavoro nazionali: insomma, è spettato a lui spiegare come i delegati M5s si sono schierati sui principi fondanti del Movimento. Innanzitutto la leadership: “E’ emersa la necessità di una guida politica collegiale, che risponda alle esigenze di efficacia ed efficienza nella azione politica”, ha detto Crimi. “E’ inoltre emersa la possibilità di dotarsi anche di un organo ad ampia rappresentatività (istituzionale, territoriale, di genere e di età) che garantisca la coerenza dell’azione politica con i nostri programmi e le indicazioni che arrivano tramite gli strumenti di democrazia diretta dai nostri iscritti”. Poi ha parlato delle alleanze, sulle quali c’è stato il via libera, “ma solo su obiettivi e programmi comuni nell’interesse dei cittadini. No a un’alleanza strutturale“. Non è arrivata, anche se era stato richiesto da più parti, la deroga alla regola fondante del M5s: il tetto dei due mandati. “Nessuna deroga al limite dei due mandati per le istituzioni regionali, nazionali ed europee, valorizzando comunque l’esperienza maturata nelle elezioni amministrative comunali. Necessaria una formazione permanente”.
Crimi ha difeso il processo, dicendo che permetterà di “rafforzare anche il governo”: “Una maggiore chiarezza di intenti ci rende più saldi anche rispetto agli impegni che vogliamo realizzare per il Paese e con le altre forze dell’esecutivo”, ha detto. Senza ignorare le difficoltà: “Governare non è uno sprint, è una gara di resistenza nella quale già si sa che arriveranno momenti critici. Bisogna accettarli, tenere duro e aspettare che passino per poi rilanciare e tornare a correre più di prima”, ha concluso.
Di Battista è “pronto a rimettersi in gioco”. Ma chiede tre garanzie – La giornata si era aperta con un attacco durissimo di Di Battista su Facebook contro chi lo ha “denigrato e poi si è genuflesso davanti ai padroni”. Ma chi si aspettava toni altrettanto forti nel suo intervento video, o almeno l’appello perché siano resi noti i voti che ha preso nella selezione dei relatori (così da far valere il suo peso), ha dovuto ricredersi. Intanto l’ex deputato ha esordito dicendo di essere pronto a tornare in campo: “Non vedo l’ora di rimettermi in gioco per il Movimento“. Una promessa che ha detto di fare a nome dei tanti che rappresenta e che però ha condizionato al rispetto di tre condizioni per le quali ha specificato di rivolgersi direttamente al premier e ai suoi ministri.
La prima è “la revoca definitiva delle concessioni autostradali ai Benetton, perché ogni pedaggio che viene pagato ancora e che entra nelle tasche di quella famiglia è addirittura una violazione della memoria dei morti”. Come seconda garanzia, ha chiesto “una presa di posizione chiara rispetto al conflitto d’interessi tra sistema finanziario e gruppi mediatici. Mi riferisco all’accentramento del potere mediatico nelle mani del gruppo Exor degli Elkann e poi una presa di posizione, preludio a battaglia in Parlamento, sul tema del conflitto di interessi tra politica e finanza, perché è indecoroso l’ultimo esempio che riguarda l’ex ministro Padoan che probabilmente siederà alla presidenza di Unicredit e che forse condurrà la possibile acquisizione di Mps dopo aver la salvata dal ministro delle Finanze con denaro pubblico”. Poi, ha detto: “Venga scritto nero su bianco che non ci sarà nessuna deroga al doppio mandato“. E, non da ultimo, “qualunque legge elettorale ci sarà, il Movimento si presenterà alle prossime elezioni da solo. E il Movimento non appoggerà mai una legge elettorale senza preferenze”.
Quindi ha fatto una proposta che, di fatto, era un atto di accusa diretto all’ex capo politico Di Maio e ai suoi: “Nessuno si senta attaccato su questo punto. Sia chiaro: io sono innamorato del Movimento e sono convinto che si possa rilanciare”, ma ora c’è bisogno di “un Comitato di garanzia” con dentro gli iscritti “e nessuno del governo” per le “regole e le nomine nei ministeri e nelle partecipate statali”. Un comitato che dovrà nascere, stando alla richiesta di Di Battista, in sei mesi. M5s, ha aggiunto, “ha innumerevoli meriti ma deve fare anche autocritica”. Senza queste garanzie, Di Battista ha assicurato che si rifiuterà di far parte della direzione collegiale. Ma stando agli umori raccolti, nessuno intende opporsi apertamente alle sue richieste (che però non vuol dire realizzarle).
Di Maio: “Io voglio un M5s autonomo, forte e protagonista” – Subito dopo Di Battista è stato il turno di Luigi Di Maio. Sull’ex capo politico erano alte le aspettative dei governisti per capire dove e fino a che punto si sarebbe schierato contro l’ex deputato. La scelta è stata di puntare sui pilastri del Movimento e meno sulla retorica dei compromessi necessari, così da togliere campo al leader di quelli che vengono ormai chiamati “dissidenti”. “Questo periodo ci ha insegnato tante cose e il M5s ha avuto idee lungimiranti, dai riders al decreto dignità o al reddito di cittadinanza”, ha detto Di Maio. “Tutti vedono il risultato ma poco il lavoro che c’è dietro. Questo non vuol dire che va tutto bene”. Da qui la richiesta: “Io voglio un M5s autonomo, forte e protagonista e che si deve far valere di più nel governo, deve cambiare passo”. Di Maio ha quindi parlato della revoca della concessione ad Autostrade, proprio come aveva fatto Di Battista poco prima e di fatto associandosi alla sua presa di posizione: “O si estromettono i Benetton dall’azionariato o sia revoca subito”, ha detto.
Di Maio ha anche definito il tetto dei due mandati “sacrosanto”, lui che più volte è stato accusato di volerlo almeno rivedere o ristrutturare. Un altro passaggio poi cruciale è stato quello sulle alleanze: solo pochi mesi fa il ministro degli Esteri aveva chiesto un tavolo permanente di confronto con il Pd in vista delle elezioni amministrative. “Apriamo alle alleanze programmatiche e non a quelle strutturali”, ha detto oggi. Una linea che non esclude quanto detto in passato, ma che rappresenta un passo indietro rispetto alle richieste dei dem degli ultimi tempi. Poi Di Maio ha lasciato aperto uno spiraglio di mediazione con Davide Casaleggio sulla piattaforma M5s: “Troveremo una nuova sinergia con Rousseau”. Infine, rispondendo a distanza (e senza dirlo esplicitamente) alle accuse di Di Battista ha toccato il delicato tasto delle nomine del governo: “Non capisco perché dobbiamo farci del male da soli. Non è un dibattito interno al Movimento, noi siamo al governo. Facciamo subito una legge pubblica che preveda candidature pulite e trasparenti e combattiamo per questo. E lo stesso vale per la sanità e le nomine dei direttori sanitari”. Di tutte le frasi pronunciate da Di Maio, ce n’è una che rischia di essere davvero divisiva ed è anche quella passata più sotto silenzio: “E’ necessario superare le ambiguità in ambito internazionale e entrare in una grande famiglia europea“. Resta da capire quale famiglia europea vorrebbe scegliere a Bruxelles Di Maio e come conciliare un’alleanza non strutturale su quel fronte.
Fico: “Restiamo forza autonoma”. Ma “proseguire il confronto con il centrosinistra” – Come ormai da tradizione, la figura che ha riportato ordine nel marasma collettivo è stato Roberto Fico. Che, proprio lui così affezionato al ritorno alle origini, ha criticato chi “riduce a questo la riflessione sulle criticità di un Movimento, cresciuto tanto e molto in fretta”. Il presidente della Camera rimane l’appiglio per tenere a bada le spinte alle scissioni e o almeno alle minacce di rotture. E, anche se come al solito in maniera molto moderata, ha parlato chiaramente delle sue perplessità “su alcune derive del Movimento“, come “un certo modo di fare comunicazione, la rincorsa del consenso a discapito della costruzione, il cadere in dinamiche che volevamo rivoluzionare”. Ha anche affrontato i “contrasti” che “all’interno di qualsiasi gruppo sono inevitabili, anzi, ben vengano”: “Ma chi ha usato strategie tipiche della vecchia politica, che non hanno nulla a che vedere con l’ortodossia, non può invocare oggi la mancanza di coerenza e la purezza. Cordate, correnti, strategie acchiappalike e personalismi sono diffusi. Anche in questi giorni, la sfida muscolare sul contarsi non ha nulla a che vedere col Movimento delle origini. Siamo cambiati ma non ci sono persone più pure di altre”. Un riferimento neanche troppo velato agli ultimi botta e risposta tra Di Maio e Di Battista che, secondo Fico, sono molto dannosi per il M5s.
Per Fico l’obiettivo deve essere “la coesione”. Il Movimento, ha continuato, “deve restare una forza autonoma con il proprio programma e la propria linea. Mai subalterna. Questo però non vuol dire essere autosufficienti. Dobbiamo fare rete con altre forze politiche dove c’è possibilità di convergenza. Serve proseguire il confronto con il centrosinistra con cui siamo al governo e condividiamo un’agenda da portare avanti, anche a livello amministrativo, dove sarà possibile”. Sulla leadership ha detto: “Dobbiamo cambiare l’organizzazione per adattarla a quello che siamo ora. Il capo politico deve essere un organo collegiale nazionale che rappresenti tutti e faccia sintesi. Lo stesso a livello territoriale, superando il Team del Futuro”. E sulla piattaforma Rousseau si è espresso altrettanto nettamente: “Gli strumenti di cui il Movimento si avvale devono essere del Movimento. Ciò significa una responsabilità in più, ma anche maggiore autodeterminazione. Devono fornire supporto concreto, senza imprigionarsi in schemi rigidi, sennò diventiamo un po’ la caricatura di noi stessi”.
E ora? La road map l’ha illustrata Vito Crimi chiudendo l’assemblea: “La sintesi di questi lavori sarà sottoposta al voto degli iscritti”, ha confermato, “e sarà un vero e proprio atto di indirizzo”. In un secondo momento “occorrerà apportare le modifiche allo Statuto nella parte sul leader politico per come risulterà da questo voto e dall’indirizzo dato. Subito dopo ci sarà l’elezione della nuova guida del Movimento e sarà quest’ultima a fare tutti gli atti necessari per il resto”. E, “nel frattempo, già nelle prossime settimana si procederà con la scrittura dell’agenda del Paese partendo da contributi, analisi, dati di questi giorni e tenendo conto dell’attività parlamentare, con incontri con attivisti, esperti e portavoce per parlare di temi”.