Mohamed Bashir è stato arrestato con un blitz in piena notte nella sua casa e ieri è ricomparso di fronte al giudice per rispondere alle accuse di terrorismo e diffusione di notizie false contro la sicurezza del Paese. Ilfattoquotidiano.it ha contattato l'ufficio dell'ambasciatore Cantini per chiedere informazioni sulla posizione italiana in merito all'arresto, ma non ha ricevuto alcuna risposta
Il 3 novembre scorso, mentre negli Stati Uniti iniziava a materializzarsi la vittoria di Joe Biden per la corsa alla Casa Bianca, nella sede dell’Eipr, l’Iniziativa egiziana per i diritti personali, al Cairo, andava in scena un incontro sui diritti umani. Quel giorno si discuteva sulla situazione in Egitto davanti ad una platea di tutto rilievo, ambasciatori e funzionari diplomatici di svariati Paesi. E a quell’incontro era presente anche il nostro ambasciatore, Giampaolo Cantini. Con lui c’erano i colleghi di Germania, Danimarca, Belgio, Finlandia, Francia, Svizzera e membri diplomatici di Canada, Norvegia, Svezia e Regno Unito. I lavori erano coordinati dai vertici dell’Eipr, tra cui il direttore amministrativo, Mohamed Bashir, 54 anni, arrestato dalle forze di sicurezza nella sua casa del Cairo. Ilfattoquotidiano.it ha contattato l’ufficio dell’ambasciatore Cantini per chiedere informazioni sulla posizione italiana in merito all’arresto di Bashir, ma non ha ricevuto alcuna risposta.
Le solite modalità: un blitz in piena notte, mentre Bashir e la sua famiglia dormivano, il prelevamento e la totale assenza di notizie sulla sua sorte fino alla serata di ieri, quando è ricomparso davanti al giudice della Procura dello Stato. Anche le accuse a suo carico sono ormai un cliché: terrorismo, diffusione di notizie false contro la sicurezza del Paese, senza un accenno a indizi investigativi. “Con un’escalation senza precedenti la Procura per la sicurezza dello Stato ha ordinato la detenzione del direttore amministrativo di Eipr, Mohamed Bashir – si legge in un documento diffuso nella serata di domenica dalla ong – L’obiettivo degli inquirenti è stato quello di carpire dettagli su quell’incontro del 3 novembre nella nostra sede”.
Il quartier generale dell’Eipr si trova a Garden City, una zona di pregio nel centro della capitale a due passi dal Nilo, da piazza Tahrir e dalla nostra ambasciata. Dentro quell’ufficio per diversi anni ha lavorato anche Patrick Zaki, lo studente universitario egiziano che fino al gennaio scorso ha frequentato e dato esami nell’ambito del programma Erasmus all’università di Bologna, prima di essere arrestato il 7 febbraio all’aeroporto della capitale. Prima della sua esperienza formativa in Italia, Zaki, 28 anni, è stato un cardine fondamentale dell’Eipr, organizzazione per cui si occupava, in particolare, della difesa dei diritti di genere, lo stesso campo di studi affrontato alla Unibo: “Patrick per me e per noi è un fratello e la sua collaborazione è stata molto importante. Se un giorno volesse tornare, le porte del nostro ufficio sono sempre aperte, ma credo che lui, una volta uscito dal carcere, debba proseguire gli studi in Italia e nel resto del mondo, la sua dimensione ormai è quella”, ci aveva raccontato alcuni mesi fa il direttore generale dell’Eipr, Gasser Abdel Razek.
Dall’inizio di marzo, Zaki è rinchiuso nella sezione Scorpion II del carcere di Tora. Lo stesso dove probabilmente molto presto lo raggiungerà Mohamed Bashir visto che la Procura del Cairo ha inserito la sua posizione all’interno del caso 855 del 2020 di cui fanno parte decine di attivisti egiziani arrestati quest’anno, tra cui gli avvocati Mhamed al-Bakr e Mahinour al-Masry: “Quello di Mohamed Bashir è soltanto l’ultimo di una serie di episodi messi in atto dal governo il cui obiettivo è intimidire e scongiurare azioni legali a difesa dei diritti umani e degli attivisti politici. Chiediamo l’immediato rilascio di Mohamed Bashir e degli altri soggetti inclusi nel caso”, prosegue la nota diffusa dall’Eipr.
La massima preoccupazione del regime sono i diritti umani e non è certo un caso che l’attenzione dei servizi di sicurezza egiziani sia incentrata su quella riunione del 3 novembre scorso in cui si è parlato di come sostenerne l’attività e la loro tutela. La vittoria di Biden alle elezioni americane potrebbe rappresentare una svolta in tal senso. Alla vigilia del voto, 56 membri Democratici del Congresso degli Stati Uniti hanno avvisato il presidente Abdel Fattah al-Sisi e l’Egitto con una lettera: “Liberate i prigionieri di coscienza e gli attivisti politici. Con Biden presidente i diritti umani torneranno a essere una priorità nel rapporto col suo Paese”. La lettera e soprattutto l’esito del voto sembravano aver prodotto dei risultati con la liberazione di tanti detenuti ‘non ordinari’ dalle prigioni egiziane, tra cui alcuni personaggi ‘eccellenti’. Scarcerazioni che nel caso dei soggetti più importanti non sono state confermate mentre in altri sono state vanificate da nuove imputazioni. Fino al blitz dell’altra notte a casa di Mohamed Bashir.