Per il gup l'accusa di lesioni volontarie è caduta perché il fatto non sussiste, mentre l'ipotesi di stalking è stata ritenuta non procedibile perché l'allieva ha ritirato la querela. Resta in piedi il procedimento a Bari, dove a settembre Bellomo e l'ex pm di Rovigo sono stati rinviati a giudizio per maltrattamenti. A Milano inchiesta già archiviata
Si è concluso con un’assoluzione piena il processo a Piacenza a carico dell’ex giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo e dell’ex pm di Rovigo Davide Nalin. I due erano accusati di stalking e lesioni ai danni di un’allieva della loro scuola di formazione per aspiranti magistrati. L’accusa, che aveva chiesto di condannare Bellomo a tre anni e quattro mesi e Nalin a un anno e quattro mesi, sosteneva che la giovane fosse stata insultata, minacciata e sottoposta a interrogatori sulla propria vita sessuale. Il gup di Piacenza, al termine del giudizio in abbreviato iniziato a luglio 2018, ha deciso però di assolvere entrambi gli imputati dall’accusa di lesioni volontarie perché il fatto non sussiste, mentre l’ipotesi di stalking è stata ritenuta non procedibile perché l’allieva ha ritirato la querela dopo una conciliazione tra le parti.
Il caso Bellomo però non si ferma qui. A carico dell’ex giudice – accusato da più allieve di aver proposto borse di studio per la sua scuola a patto di sottoscrivere un contratto che veniva imposto, tra le altre cose, di indossare minigonna e tacco 12 – resta ora in piedi il procedimento a Bari: a settembre sia lui che l’ex pm di Rovigo sono stati rinviati a giudizio per maltrattamenti. La prima udienza è stata fissata per il 3 dicembre. L’altro filone, invece, cioè quello portato avanti dalla procura di Milano, è stato archiviato: i pm avevano accusato l’ex giudice di stalking e violenza privata su quattro studentesse, ma il gip Guido Salvini non ha ravvisato reati nella sua condotta. Sebbene “molte delle richieste rivolte alle borsiste appaiano inconferenti con quelli che sono i normali caratteri di un rapporto di collaborazione accademica e siano state sovente avanzate con insistenza attraverso telefonate in tarda serata e invio di e-mail”, ha scritto il gip di Milano, “non può ritenersi che le stesse valgano ad integrare una condotta abituale di molestia e minaccia”.
“Si chiude una vicenda molto dolorosa, che ha avuto un impatto mediatico molto forte. Come spesso accade, quando nel processo si ricostruisce la verità, i fatti risultano nella prospettiva propria del processo penale diversi da quelli rappresentati nei media”, è il commento dei difensori di Bellomo e Nalin, l’avvocato Beniamino Migliucci e il professor Vittorio Manes. “È infatti il processo la sede dove si deve fare una distinzione tra comportamenti eventualmente non condivisibili, magari inopportuni dal punto di vista deontologico e quelli penalmente rilevanti. Questa distinzione è fondamentale nel diritto penale laico e liberale”.