di Paolo Di Falco e Marta De Vivo

Un altro naufragio, altre vittime. In sintesi è questo quello che è accaduto l’11 novembre a circa 30 miglia a nord delle coste libiche di Sabratha. Testimoni della disperazione del naufragio sono stati i volontari di Open Arms, attualmente l’unica nave umanitaria impegnata nel Mediterraneo nel soccorso dei migranti che scappano dalla Libia. I volontari, arrivati sul posto, hanno visto tutti i migranti (circa cento persone) in mare mentre lottavano tra la vita e la morte.

Una scena davvero straziante: immaginate un po’ le urla di disperazione di chi sta per annegare, le grida di una giovane mamma che ha perso il suo bambino, gli occhi pieni di paura di chi non sa se avrà un futuro o finirà in fondo al mare. Troppo spesso, come abbiamo già denunciato dalle colonne del nostro blog, l’immigrazione diventa un semplice mantra da utilizzare per fare propaganda quando non si ha di che parlare. Basta scorrere le bacheche dei social per trovare frasi del tipo “mandateli a casa loro”, “buttateli a mare”. Frasi scritte da dietro un computer, da uno smartphone da chi ha con un tetto sulla testa, da persone con una famiglia che le attende a casa.

Vi invitiamo per un attimo a togliervi il velo di ipocrisia e mettervi nei panni di questa povera gente che arriva in Italia non per rubare il lavoro a qualcuno ma per disperazione. E se qualcuno si chiede perché non sbarcano in Spagna, in Germania, in Francia: vi invitiamo a prendere in mano una cartina e vedere dove si trovano questi Stati, vedere la vostra ignoranza nelle affermazioni che fate o che mettete nei vostri post pieni di odio per della povera gente che ha già perso tanto.

Se volete gettare la vostra maschera piena di ignoranza e ipocrisia, gettatela non ai piedi del vostro Capitano ma in quello stesso mare che si è portato con sé tante vite innocenti. Quelle acque che nell’ultimo naufragio hanno rubato la vita a 6 persone tra cui un bambino di appena sei mesi. Ipocriti benpensanti, qual era la sua colpa? Joseph veniva dalla Guinea: la sua mamma, che si vede in un video postato da Open Arms per far capire la tragedia che avviene quasi quotidianamente sotto ai loro occhi, urlava perché aveva perso suo figlio.

Che parole avete da dire di fronte al dolore di quella mamma? Pensate ancora che la disperazione si risolva bloccando i soccorsi in mare, affondando le navi, chiudendo i porti e non attraverso corridoi umanitari o accordi in Europa? Ma soprattutto per quelli che si dilettano tanto a comparare le tragedie, quasi come fosse un concorso a premi per chi soffre di più: quando la smetterete di paragonare, per esempio, la migrazione con i nostri terremotati? Quando riusciremo a capire che la sofferenza non ha una nazionalità, non ha un colore della pelle: va ascoltata e risolta da chiunque venga?

La verità è che in fondo non ci interessa, non è facile scrivere queste parole, in un Paese di perbenisti e frequentatori di salotti che si dilettano a rilasciare interviste, accucciati come dei pascià sulle poltrone degli uffici più prestigiosi in attesa del prossimo inciucio. La realtà dei fatti sta in quello che nessuno vuole dire, noi che abbiamo una voce libera, senza padroni, possiamo dirlo. Siamo giovani: con la speranza di vivere in un mondo più giusto, ma anche con la consapevolezza di quanto ci sia ancora da lottare.

La politica è una cosa seria ma nessuno in Italia la prende seriamente e proprio per questo non esiste una corrente politica definita; i politici non dicono mai ciò che pensano e non hanno mai una voce univoca. Qquesti non sono piagnistei da bambini: vogliono essere una vera e propria critica a chi per anni non ha mosso un’unghia e a chi è appena arrivato, ma già si è assestato sulle comode poltrone, a stringere accordi e a stringere mani. Non hanno a cuore i diritti questi politici e non hanno a cuore i più fragili, non cercano di salvare vite, cercano di salvare loro stessi.

Ci piace pensare che un giorno ci ritroveremo seduti sulle loro stesse poltrone così da potergli dire in faccia senza peli sulla lingua: “Le persone non sono stupide, non quanto credete voi”; ci piace pensare che li affronteremo raccontandogli la verità di una generazione che è stufa, una generazione che non hanno aiutato e che non vogliono aiutare. Siamo ragazzi pienamente consapevoli di quello che ci aspetta e della realtà che questi narratori seriali di frottole hanno cercato di tenerci nascosta.

Ora, però, è giunto il momento della rivalsa: godetevi gli ultimi anni perché presto di tutta la vostra maestria e dei vostri giochini (di cui siete insigni professoroni) non rimarrà più nulla, se non pagine di storia stracolme di indifferenza, di dolore, di falsità. Speriamo che questa rivalsa avvenga presto, così che vi rendiate conto dello scempio che avete costruito: vi volterete indietro e forse potrete pentirvi di ciò che avete fatto e solo allora comprenderete il significato delle parole “esseri umani”.

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