I medici di famiglia non sono tenuti a visitare i pazienti positivi al Covid. Quello è compito degli “specialisti”. Che però scarseggiano. La sentenza del Tar del Lazio e le interpretazioni che arriveranno nei prossimi giorni rischiano di essere devastanti nei criteri per l’organizzazione della gestione domiciliare dei pazienti Covid. Nel Lazio, dove i provvedimenti della Regione sono stati contestati dal ricorrente Sindacato medici italiani (Smi), ma anche in altri territori, che a fronte di un’alta ospedalizzazione hanno chiesto la collaborazione dei medici di base. Secondo i giudici amministrativi, i dottori di famiglia sono stati “investiti di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid del tutto impropria” e “gravati di compiti del tutto avulsi dal loro ruolo all’interno del sistema sanitario regionale, vengono pericolosamente distratti e di fatto sollevati dal loro precipuo compito, che è quello di prestare l’assistenza ordinaria, a tutto detrimento della concreta possibilità di assistere i tanti pazienti non Covid, molti dei quali affetti da patologie anche gravi”.

Ma allora, una persona che ha contratto il Sars-Cov-2, che sta male ma non necessita di ospedalizzazione, a chi dovrebbe rivolgersi? Secondo il Tar del Lazio, alle Usca, le Unità speciali di vontinuità assistenziale istituite da decreto legge 14 del 9 marzo scorso, su cui il Governo italiano – spiega Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei medici di Roma, “ha investito 721 milioni di euro per la realizzazione di 1.200 unità mobili in tutta Italia, una ogni 50mila abitanti”, anche se “al momento in tutto il Paese siamo arrivati solo a 600”. Nel Lazio, però, i due bandi avviati in primavera sono andati entrambi deserti, come ricorda Pier Luigi Bartoletti, vicesegretario nazionale Fimmg e responsabile delle Usca-R, la variante laziale delle Usca, modello basato proprio sulla partecipazione dei dottori di famiglia. “I medici purtroppo non ci sono, non se ne trovano. Abbiamo avviato questo progetto il 30 ottobre scorso, con le unità mobili che sorvegliavano i quattro quadranti di Roma, con adesione volontaria dei medici di base. Stava andando bene, abbiamo evitato più di 200 accessi al pronto soccorso. Ora dovremo smontare tutto”.

La Regione Lazio fa sapere che presenterà ricorso urgente al Consiglio di Stato. Nel frattempo, sono da capire gli effetti sulla gestione dei pazienti Covid che avrà sui futuri provvedimenti. “Ad applicare la sentenza alla lettera, i medici di base dovranno disinteressarsi dei pazienti Covid”, azzarda Bartoletti. E in effetti la notizia è stata presa con grande preoccupazione da Alessio D’Amato, assessore alla Sanità nel Lazio: “Pensare di gestire gli oltre 600mila in isolamento domiciliare in Italia e gli oltre 60mila nel Lazio solo con le unità mobili vorrebbe dire avere a disposizione una platea di oltre 10mila operatori. Questo non è né possibile né praticabile”.

Il provvedimento del Tar rischia di avere riflessi anche sulle decisioni in corso a livello nazionale. Proprio sabato era arrivate sul tavolo del Ministro della Salute, Roberto Speranza, le indicazioni per la gestione domiciliare dei pazienti Covid, messa nero su bianco dal gruppo di lavoro guidato dal presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. Non solo. Il 28 ottobre, Speranza aveva anche sottoscritto l’accordo per la somministrazione dei tamponi rapidi antigenici in 50mila studi medici e pediatrici, protocollo che il Lazio aveva fatto suo avviando la distribuzione dei kit fra chi aveva aderito al bando volontario.

“Ora c’è il rischio di un danno grave e irreparabile alla rete dell’assistenza territoriale nel contrasto alla pandemia”, tuona D’Amato, preoccupato che il Lazio possa scivolare da una “comoda” zona gialla alla zona arancione: proprio oggi i dati delle Asl avevano comunicato un importante calo dei pazienti ricoverati (46 in meno), il primo dall’inizio della seconda ondata. “Siamo soddisfatti del grande riconoscimento delle nostre sacrosante rivendicazioni a tutela dei medici di medicina generale del Lazio e dei cittadini di questa regione”, afferma Cristina Patrizi, responsabile dello Smi Lazio.

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