Alunni e genitori di tutta Italia sono in apprensione. Le scuole superiori chiuse ovunque, le medie in alcune regioni. La didattica a distanza un incubo dal quale sfuggire, quando possibile. Al punto che sono nate le “Schools for Future”, flash mob molto particolari. Zero slogan. Solo un’ora di didattica a distanza, armati di computer e wi-fi, davanti alle scuole. Da Torino, dove è partita la protesta silenziosa, si sta diffondendo in tutta Italia.
“Dobbiamo provare a tenere aperte le scuole. Anche se dovessero esserci ulteriori restrizioni: più si limitano le attività fuori della scuola, più si abbassa il rischio dentro la scuola. Perché dentro la scuola ormai lo riconoscono tutti che le regole ci sono”, ha dichiarato la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina qualche giorno fa. Una posizione meno intransigente rispetto a quella della metà di ottobre quando aveva sostenuto che “Le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado devono restare assolutamente e completamente aperte come lo sono oggi in quasi tutt’Italia. Per la secondaria di secondo grado, le superiori, può accadere quel che già sta accadendo”.
Il teorema della ministra è che le scuole siano dei luoghi sicuri. Per questo non devono essere chiuse. Un teorema condiviso dalla quasi totalità degli alunni e dalla gran parte dei loro genitori. Ma contrastato da una altra componente della scuola, tutt’altro che irrilevante: gli insegnanti. Almeno quelli delle medie, preoccupati anche loro, non solo per le eventuali lezioni a distanza e neppure per la necessità di rivedere la programmazione stabilita: sono preoccupati piuttosto dalla didattica in presenza.
“Qualche giorno fa abbiamo fatto un sondaggio al quale hanno partecipato circa 800 insegnanti chiedendo se si preferisse la scuola in presenza oppure la dad: ebbene l’85% ritiene che le scuole debbano essere chiuse subito perché è messa a repentaglio la salute e la vita stessa degli operatori”. Il comunicato del Coordinamento Nazionale Docenti abilitati, è perentorio. “Non possiamo essere considerati automi o robot che eseguono i compiti in modo meccanico e a comando, ma siamo persone che vivono ormai con paura ed angoscia ogni volta che varchiamo il cancello della scuola. Che tipo di serenità si può trasferire ai ragazzi in questa drammatica situazione di lavoro. Come fai a stare in classe con 20/25 ragazzi o bambini sapendo che se ti ammali difficilmente sarai curato nella giusta maniera o che potresti non trovare neanche un posto in ospedale o un respiratore per l’ossigeno”.
Le motivazioni degli insegnanti più che plausibili, basta andarci davvero in classe per rendersene conto. Già perché in diversi istituti i famosi banchi monoposto sono finalmente arrivati, ci sono anche le mascherine e gli igienizzanti, ma mancano le aule, in molti casi del tutto inadeguate: parlo degli spazi, appena sufficienti a garantire il distanziamento previsto, ma anche degli infissi delle finestre, così malridotti da non poterne consentire l’apertura e dunque assicurare il necessario ricambio d’aria.
In queste condizioni, quando un alunno presenta dei sintomi del Covid e quindi provvede a verificare la sua positività attraverso il tampone, è più che probabile abbia già contagiato qualche compagno. E qualche professore. Nonostante le mascherine e il gel igienizzante utilizzato con maniacale assiduità, nonostante anche le ricreazioni non di rado si facciano al posto. Forse anche per questo i numeri dei contagi nelle scuole sono in crescita: più alunni, ma anche più insegnanti.
Il dubbio che anche sulle procedure della quarantena non tutto proceda come dovrebbe, c’è. In particolare per quel che riguarda gli insegnanti. Già perché nel momento in cui l’Asl di riferimento comunica alla scuola la quarantena della classe nella quale si sono rilevati casi di positività, per gli alunni, a casa, scatta la dad alla quale provvedono gli insegnanti curricolari. Insomma quelli che sono stati in classe. Ma è sufficiente sottoscrivere l’autocertificazione predisposta dalle Asl nella quale si dichiara di aver indossato una determinata mascherina “per tutta la durata della lezione”. In aggiunta che “Durante la lezione, lo studente è rimasto seduto al proprio banco con la mascherina” e “La lezione è stata svolta con più finestre aperte e la porta dell’aula aperta”. Infine che l’insegnante “si trovava a una distanza di sicurezza di due metri dallo studente in questione durante tutta la lezione”. Con questa autodichiarazione l’insegnante non va in quarantena e quindi è abile per la dad. Così stanno facendo tantissimi docenti, in buona fede naturalmente e confidando di non aver contratto il virus, pur non avendone alcuna certezza. Continuano a lavorare perché anche la dad senza insegnanti non si può fare.
La sensazione è che la ministra, ma anche i suoi colleghi al governo, si preoccupino che la scuola non chiuda, che i ragazzi – anche quelli delle medie – siano costretti di nuovo a casa, di fronte ad uno schermo. La sensazione è che la gran parte dei non addetti ai lavori sia favorevole alle lezioni in presenza ma si dimentica degli insegnanti e della loro salvaguardia. Di prestare una qualche attenzione all’intero corpo docente, visto che la sua elevata età media lo suggerisce. “Chi, come il Ministro, continua a fare appelli perché la scuola non chiuda, si sta assumendo una responsabilità molto grave. Non siamo carne da macello e non si scherza con le nostre vite”, sostengono i docenti abilitati nel comunicato.
In una lettera inviata alla Redazione di Orizzonte scuola Giovanna Piglialarmi, una giovane precaria, insegnante di Arte e immagine in un istituto di Volvera, in provincia di Torino, scrive così: “Non è vero che le Scuole siano un luogo sicuro, a scuola ci si contagia. Per favore, non fate più interviste ai ministri, di ogni settore, senza contraddittorio. Quello che loro dicono non corrisponde alla realtà. Quello che dice l’On. Lucia Azzolina, non corrisponde alla realtà perché Lei non ha la dimensione della realtà. La Scuola, al momento non è un posto sicuro. L’ho provato sulla mi pelle”. Lei il Covid lo ha contratto a scuola. Indubitabilmente.