Nei giorni scorsi il neo-sindaco di Senigallia, cittadina in provincia di Ancona, ha rimosso dal palazzo comunale lo striscione che chiedeva verità per Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano ucciso al Cairo ormai quasi cinque anni fa. Il primo cittadino Massimo Olivetti – eletto in una lista di centrodestra sostenuta dalla Lega, da Fratelli d’Italia, da Forza Italia – ha ritenuto che una delle prime azioni da mettere in campo con la sua elezione dovesse essere quella di rimuovere quel simbolo giallo con il logo di Amnesty International che tutti noi abbiamo purtroppo imparato negli anni a conoscere.

Un simbolo che il precedente sindaco aveva apposto sulla facciata municipale per far sentire, insieme a tantissime altre amministrazioni comunali, la forza, l’indignazione, lo sgomento, la vicinanza alla famiglia da parte di quell’Italia dei Comuni che non sarà mai disposta ad accettare il silenzio. Noi cittadini, infatti, non saremo mai disposti ad accettare che non venga fatta luce sulle torture mortali subite da uno studioso che voleva conoscere e far conoscere alcuni aspetti di un regime dittatoriale. Un regime che ancora tiene nelle proprie carceri Patrick Zaki, venuto dall’Egitto a studiare nella nostra Bologna. È per questo che in tanti a Senigallia si sono mobilitati per chiedere conto della rimozione dello striscione.

Di fronte a tali richieste, il primo cittadino ha scritto una lettera al premier Giuseppe Conte e al ministro degli Esteri Luigi Di Maio sollecitando la loro attenzione verso le sorti processuali del caso Regeni. Come se questo rendesse ragione di quello. Come se fosse alternativa allo striscione, quella lettera che si conclude con queste parole: “Per poter richiamare la vostra attenzione sul fatto e fare da sprone all’azione del Governo Italiano abbiamo deciso di non utilizzare un semplice striscione ma di formalizzare la nostra richiesta in via ufficiale con questa nostra. Abbiamo quindi rimosso il drappo ormai consunto e rovinato, ed abbiamo scelto di manifestare la nostra posizione nei confronti del Governo Italiano in modo ufficiale, precisando che seguiremo con costanza la vicenda utilizzando questa via, che ci appare più efficace ed incisiva”.

Nei giorni scorsi l’associazione Antigone, insieme alla Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili e all’associazione Antigone Marche, ha scritto al sindaco chiedendo tra le altre cose: “Perché la lettera è stata inviata vari giorni dopo la rimozione dello striscione? Questo strano succedersi degli eventi ha qualcosa a che vedere con l’indignazione pubblica sollevatasi all’apprendere la notizia? Perché non c’è stato alcun dibattito pubblico? La decisione di issare lo stendardo fu presa pubblicamente, mentre per ritirarlo nessuno è stato interpellato”.

Vedremo se nelle prossime settimane, mesi, anni il sindaco Olivetti continuerà a spendersi per chiedere la verità su Giulio Regeni. Ci auguriamo davvero di sì. Gli chiediamo in ogni caso di rimettere al suo posto lo striscione. Era consunto e rovinato perché ci ricorda il troppo tempo che è passato nella ricerca vana della verità e ci spinge a chiederla alle autorità italiane ed egiziane con forza ancora maggiore. Siamo certi che alla famiglia di Giulio non importa avere un drappo nuovo di fabbrica.

I cittadini cui può dar fastidio la visione di un drappo logoro stiano zitti. Tutti gli altri possono scrivere a comune.senigallia@marche.it e chiedere di poter vedere ancora a Senigallia quel simbolo giallo importante per tutti noi.

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