Sono stati i primi in Italia a creare un sistema unificato con una serie di prestazioni all’interno degli ospedali accogliendo le istanze delle famiglie delle persone con disabilità che vivevano sulla loro pelle le difficoltà di ricevere un’assistenza sanitaria di qualità pari a quella delle altre persone. Tra i premiati nell’ambito del celebre Ambrogino d’Oro 2020 vi è anche il Progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance). Il DAMA, nato nel 2000 all’Ospedale San Paolo, sarà insignito dell’attestato del Comune di Milano il prossimo 7 dicembre (giorno di Sant’Ambrogio), insieme a altri soggetti premiati che riceveranno quattro medaglie d’oro alla memoria, quindici medaglie d’oro e 19 attestati. “Non penso che ci sia un rapporto diretto tra il riconoscimento dato a DAMA e le vicende Covid. E’ stata premiata probabilmente l’idea che si è dimostrata efficace e vincente di mettere a disposizione, restando dentro un ospedale, un gruppo di professionisti dedicati esclusivamente ai disabili, con tutte le loro particolarità e fragilità”. A commentare la notizia a ilfattoquotidiano.it è il professor Filippo Ghelma, responsabile del Progetto DAMA. “Il DAMA è nato vent’anni fa e in tutto questo tempo abbiamo saputo costruire percorsi personalizzati e cercato di ridurre i tempi di attesa per migliaia di pazienti con grave disabilità soprattutto intellettiva ma non solo. Ad oggi abbiamo 6.321 pazienti con disabilità presi in carico, 65mila accessi ospedalieri totali dall’inizio della nostra esperienza pionieristica a livello italiano”. Le prestazioni erogate sono diverse, si va dal ricovero ordinario al day-hospital, dal pronto soccorso alle prestazioni ambulatoriali, oltre che esami di radiologia, TAC, percorsi diagnostico-terapeutici. Non sono previste degenze notturne. Tra i soci fondatori del Progetto DAMA c’è la LEDHA con l’apporto di tanti genitori di disabili. Il fondatore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), Edoardo Cernuschi, sottolineando le necessità delle famiglie di cui è stato la voce, affermava: “il disabile grave soffre due volte: una perché sta male, un’altra perché non lo può comunicare”.

Il responsabile Ghelma oggi spiega l’importanza di tali servizi di presa in carico multidisciplinare dedicati a persone con gravi problemi di comunicazione: “Il modello di accoglienza di DAMA prevede lo sforzo adattativo dei percorsi, per “ammorbidire” o eliminare le rigidità organizzative ospedaliere, che spesso sono un ostacolo insormontabile per persone che presentano caratteristiche e bisogni non considerati o dati per scontati nella popolazione generale. Con questo obiettivo – continua – abbiamo lavorato anche durante le varie fasi della pandemia”. Sulle criticità che si sono aggiunte dovute al Covid, Ghelma afferma che “è diventato obiettivamente difficile, in un ambiente come l’area dell’urgenza in cui l’affollamento di pazienti Covid in condizioni di estrema gravità, riuscire a gestire adeguatamente ed in sicurezza pazienti con disabilità intellettiva e problemi comportamentali, garantendo la presenza del caregiver (e la sua sicurezza)”. Il numero degli ingressi a DAMA durante questo periodo si è contratto, passando da un numero di accessi quotidiani di circa 25 pazienti più le urgenze nel periodo pre-Covid all’ordine attuale di 7-8 pazienti al giorno. “La risposta migliore che possiamo dare – spiega il responsabile – è cercare di creare caso per caso la giusta soluzione tenendo conto di tutti gli aspetti, è impossibile standardizzare, ancor di più con le persone con grave disabilità. Ed è ancora più difficile se le indicazioni generali e i protocolli non tengono sempre in conto delle persone disabili e delle loro caratteristiche e difficoltà ad adattarsi a percorsi standard. Non dobbiamo poi dimenticare il difficile lavoro di mantenere operative almeno le attività necessarie diagnostico-terapeutiche per problemi di salute e prevenzione non Covid”.

Le difficoltà maggiori sono evidenti all’interno dei pronto soccorso, dove risulta complesso gestire soggetti ad esempio con autismo e sindrome di Down. “Da mesi abbiamo concentrato le nostre attività di supporto soprattutto sul counseling telefonico e ci siamo resi conto che nel 60% dei casi siamo riusciti a risolvere le richieste al telefono, senza intasare gli ambulatori”. La situazione è grave e bisogna agire con tempestività e senza dimenticare nessuno. “Ci occupiamo anche dei tracciamenti, di fare il tampone a soggetti con gravi disabilità intellettive che devono entrare nei centri diurni. Il problema maggiore? Al momento abbiamo serie difficoltà a intervenire con operazioni chirurgiche. In particolare siamo più scoperti sul pronto soccorso per pazienti autistici o con gravi deficit comportamentali, situazioni molto difficili anche perché quando si apre la porta dei pronto soccorso c’è un girone dantesco”, conclude Ghelma.

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