di Emanuele Bompan
L’Italia è un “hot spot” climatico, ovvero un’area più esposta di altre ai rischi del cambiamento climatico. Lo ha ribadito un recente report del Cmcc, Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, dove si afferma che con una variazione fino a 2°C nel periodo 2021-2050 rispetto a quello 1981-2010, l’Italia dovrebbe affrontare costi per lo 0,5% del Pil nazionale (7 miliardi di euro) legati ai rischi climatici ogni anno.
Nello scenario peggiore, con un aumento della temperatura media di 4°C rispetto al periodo preindustriale, la perdita di Pil pro-capite in Italia potrebbe pesare fino all’8%. Si tratta di 110 miliardi di euro l’anno entro fine secolo. Come se la crisi economica del 2020 si ripetesse ogni anno.
Per correre ai ripari nel maggio 2016 è stata avviata l’elaborazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc) basata sulla Strategia Nazionale Adattamento al Clima (Snac) adottata nel giugno 2015 e sui suoi rapporti tecnico-scientifici pubblicati nel 2014.
“Il Piano identifica sei macroregioni climatiche a partire dal clima attuale e le rispettive proiezioni climatiche attese secondo due differenti scenari, fornisce un’analisi del rischio basata sulla stima della capacità di adattamento e dei potenziali impatti a livello provinciale, nonché propone una selezione delle azioni di adattamento preferibili per i 18 settori già precedentemente identificati dalla Snac nel 2015″, spiega Sara Venturini, del comitato scientifico di Italian Climate Network.
Una bozza del Pnacc è stata revisionata pubblicamente dalle parti nel 2017, ma la nuova versione revisionata non è mai stata pubblicata e la sua approvazione non è mai arrivata. Due sono gli elementi critici: le risorse economiche e la mancanza di governance intersettoriale e tra livelli amministrativi (Stato, regioni, provincie, comuni) per dare luce ad un piano effettivamente attuativo.
“Il Pnacc rimane un piano di indirizzo che deve svolgere una funzione di coordinamento, un quadro comune al quale le regioni dovrebbero ispirarsi ma non c’è vincolo legale”, spiega Andrea Masullo, consulente per il Ministero dell’Ambiente. Ragione per cui il Pnacc è stato sottoposto alla Valutazione Ambientale Strategica (Vas), il processo finalizzato ad integrare considerazioni di natura ambientale nei piani e nei programmi di sviluppo, per migliorare la qualità decisionale complessiva.
“In questo modo si dà una base giuridica al piano, dando ulteriore motivazione agli enti locali e regioni per agire e realizzare dei piani regionali o locali di adattamento”, continua Masullo. Ma il tema rimane politicamente delicato, data la complessità dei rapporti stato-regioni e stato-comuni, emersa violentemente anche durante la gestione della crisi Covid.
Secondo indiscrezioni dal ministero dell’Ambiente, la data prevista di pubblicazione del Pnacc dovrebbe essere inizio primavera 2021. Mentre entro fine mese sarà lanciata la Piattaforma italiana, uno strumento di condivisione di conoscenza. “Arriviamo tra gli ultimi in Eu, ma le altre sono solo piattaforme informative”, illustra Masullo. Quella italiana offre un unico strumento che si rivolge sia a pubblico generico che esperti, alla pubblica amministrazione e ai privati. Oltre informazioni generiche e best practices ci saranno i dati climatici della rete Ispra Sinanet”.
Agire è l’imperativo
Per mettere in moto tutto serve chiarire la questione economica. Da via Cristoforo Colombo, sede del ministero dell’Ambiente, varie fonti confermano che nella prossima legge di bilancio verranno allocati tra i 40 e i 100 milioni di euro per l’adattamento, in aggiunta ai fondi per la lotta al dissesto idrogeologico. L’ipotesi è di una redistribuzione dei fondi di Italia Sicura spostati nell’estate 2018 dal precedente governo dalla Presidenza di Consiglio al Ministero dell’Ambiente. Ma tutti guardano ai fondi di Next Generation Eu.
“È fondamentale procedere all’adozione e all’implementazione del Pnacc con dotazione di fondi e la realizzazione, prima che si attui il Piano, di un sistema nazionale ufficiale di indicatori efficaci e chiari di monitoring/reporting/evaluation per l’adattamento ai cambiamenti climatici in Italia. In questo caso vedremo se ciò sarà incluso nel Pnrr”, spiega Sergio Castellari, membro del Comitato Scientifico di Icn.
È fondamentale inoltre “intervenire con un sostegno a livello locale ai piani di resilienza climatica, al fine di allinearli con i piani di protezione civile; inoltre essi dovrebbero considerare prioritario la protezione sociale per le comunità ed i lavoratori più fragili al cambiamento tecnologico ed all’evoluzione industriale. In Italia ricordo che è fondamentale per la resilienza climatica costruire un’efficace governance verticale (Stato-Regioni-Comuni) ed orizzontale (tra i ministeri e altre istituzioni nazionali) che permetta un coordinamento e una coerenza tra i vari livelli di pianificazione e di gestione delle strategie e piani nazionali, regionali e locali di adattamento e di protezione civile. La molteplicità delle autorità coinvolte e il loro scarso coordinamento e la diversità delle tipologie di azioni di adattamento (che sono dipendenti dal contesto) rende molto complesso affrontare in Italia una crisi sistemica come quella del cambiamento climatico”.
In conclusione, la cosa più importante è un chiaro mandato politico, che deve arrivare dalla Presidenza del Consiglio, che “potrebbe anche riattivare la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, prima denominata ‘Italia Sicura’ e chiusa nel luglio 2018 o ancora meglio attivare una Struttura di missione sulla resilienza climatica per agevolare la collaborazione e ottimizzare una comune linea di azione”, conclude Castellari.