A quasi due settimane dalle elezioni americane, Donald Trump non riconosce ancora la sconfitta. Quello che sta cambiando in fretta, invece, è la posizione del partito repubblicano, che in un primo momento si era saldamente schierato al suo fianco, accodandosi alle sue accuse di brogli negli swing states e assecondando la teoria di una sua possibile vittoria. Ma ora, anche a fronte dell’assenza di episodi che certifichino le presunte frodi elettorali, diversi esponenti del Gop cominciano a voltare le spalle al tycoon. E lo hanno già fatto rispetto alla sua decisione di ritirare parte del contingente americano in Iran e Afghanistan. Sul fronte dei riconteggi in corso, un articolo del Washington Post fa esplodere il caso del senatore repubblicano Lindsay Graham, che avrebbe chiesto al segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, della possibilità di invalidare voti per posta legalmente inviati nel tentativo di rovesciare la sconfitta di misura di Trump. La denuncia è stata fatta in un’intervista al quotidiano in cui il segretario di Stato esprime la sua esasperazione per le accuse senza fondamento che stanno arrivando da Trump e dai suoi alleati riguardo all’integrità dei risultati elettorali dello stato dove ha vinto un democratico per la prima volta dal 1992.
Il caso della Georgia – Raffensperger racconta il colloquio avuto nei giorni scorsi con Graham che gli chiedeva se il segretario di Stato avesse la possibilità di invalidare le schede arrivate per posta in alcune contee appellandosi ad irregolarità nel sistema di verifica delle firme. Il repubblicano ha detto di essere rimasto “sconvolto” per il fatto che il senatore a capo della commissione Giustizia sembrava voler suggerire un modo per invalidare voti legali. “Veramente sembrava che volesse andare in quella direzione“, ha detto spiegando di aver risposto a Graham che una decisione del genere può essere presa solo da un tribunale. Interpellato, il senatore repubblicano ha negato che lui abbia suggerito di invalidare voti legali, definendo la ricostruzione “ridicola”, affermando di aver chiamato, di sua iniziativa e non su impulso di Trump, Raffensperger per discutere della questione delle irregolarità sulla verifica delle firme.
“Se si è sentito minacciato dalla nostra conversazione, è un problema suo”, ha concluso Graham. Lo stesso giorno, venerdì scorso, del colloquio tra i due repubblicani, la campagna di Trump ha presentato di fronte un tribunale federale della Georgia un ricorso contro le procedure di controllo della firma con cui si chiede di bloccare la certificazione delle elezioni fino a quando non saranno controllate di nuovo tutte le firme delle schede arrivate per posta. Nell’intervista Raffensperger denuncia anche come il clima di accuse abbia portato a minacce di morte rivolte a lui ed alla moglie Tricia, compresa una mail che recita: “È meglio che non fallisci questo riconteggio, la tua vita dipende da questo”. “Oltre alla rabbia c’è anche la forte delusione”, afferma Raffensperger per il fatto che questi attacchi “arrivano da gente della mia parte politica, dobbiamo stare attenti a quello che si dice”. Un chiaro riferimento a Douglas Collins, il deputato repubblicano della Georgia che sta guidando l’azione di Trump durante il riconteggio dei 5 milioni di voti dello Stato, che Raffernsperger ha definito “un bugiardo” ed “un ciarlatano” per le accuse senza fondamento che sta ripetendo contro il primo spoglio svolto in Georgia. Anzi Raffensperger si è detto convinto che anche questo secondo spoglio a mano “confermerà” il primo conteggio e quindi la vittoria di Biden.
I repubblicani voltano le spalle a Trump – James Risch, che presiede la commissione Esteri del Senato, ha riconosciuto la vittoria di Joe Biden in un’intervista in cui afferma di prepararsi “alla mia seconda transizione in cui si muove da un partito politico all’altro alla Casa Bianca” paragonandola ad un “cambio di musica” radicale “dall’heavy metal alla musica classica”. Anche il senatore Marco Rubio si è riferito a Biden definendolo “presidente eletto”, affermando che spetterà lui decidere sulla ventilata nomina del senatore Angus King alla guida della National Intelligence. Alla richiesta di una conferma se le sue parole fossero un riconoscimento della vittoria di Biden, Rubio ha detto che “alla fine questo è quello che i risultati preliminari sembrano indicare”.
John Cornyn poi ha affermato di non vedere nessuna prova delle denunce di presunti brogli che possano rovesciare il vantaggio di Biden in Pennsylvania, Michigan, Wisconsin ed altri stati chiave dove ha vinto il democratico. “Io non vedo niente che possa cambiare il risultato – ha detto il senatore del Texas – quando arriverà il 20 gennaio ci sarà l’insediamento del presidente e penso che probabilmente sarà Joe Biden“. Ma l’indicazione forse più clamorosa è arrivato dal consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump, Robert O’Brien che ha assicurato che “una transizione professionale” avrà luogo “se sarà determinato che il ticket Biden–Harris è il vincitore, ed ovviamente le cose appaiono ora in questa direzione”.
Inoltre si allunga la lista dei senatori repubblicani che insistono nel dare a Biden la possibilità di avere i briefings dell’intelligence: “È una cosa ragionevole e non ci vedo nessun danno, anzi sarebbe molto d’aiuto”, ha detto Roger Wicker, repubblicano del Mississippi. Mentre il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, si è rifiutato di rispondere alla domanda esplicita di un giornalista che gli chiedeva se Biden sia il presidente eletto.
I riconteggi – Secondo il calendario, la prima a dover certificare sarà la Georgia, venerdì prossimo 20 novembre: nell’annunciare il riconteggio degli oltre 5 milioni di schede a mano, come richiesto da Trump, le autorità repubblicane dello stato hanno confermato l’intenzione di annunciare i risultati definitivi entro questa data. Lunedì 23 novembre è poi la volta di Michigan e Pennsylvania, mentre per l’Arizona si dovrà aspettare il 30 novembre e per il Nevada e il Wisconsin il giorno dopo, il 1 dicembre.