L’Istituto superiore di sanità con alcune slide e un vademecum sul proprio sito spiega come funziona il calcolo dei dati epidemici e il sistema di valutazione del rischio. Un'iniziativa che arriva nella stesse ore in cui i governatori sono tornati a contestare il piano anti Covid. La presenza di diversi indicatori "permette di limitare e controbilanciare gli effetti negativi dovuti al fatto che la pressione sui sistemi sanitari può avere qualche effetto negativo sulla completezza dei dati"
I dati relativi al monitoraggio “sono aggiornati” e “gli indicatori utilizzati sono quelli più recenti di cui è possibile garantire l’affidabilità del dato. Ci sono poi calcoli che permettono di stimarne l’andamento e di ragionare sulla proiezione al periodo attuale”. L’Istituto superiore di sanità con alcune slide e un vademecum sul proprio sito spiega come funziona il calcolo dei dati epidemici e il sistema di valutazione del rischio, quello che determina poi l’inserimento di una Regione in zona gialla, arancione o rossa. Un’iniziativa che arriva nella stesse ore in cui i governatori sono tornati a contestare il piano anti Covid, chiedendo di rimettere ufficialmente in discussione il meccanismo scientifico che le stesse Regioni solo un mese fa avevano approvato insieme al ministero della Salute e all’Iss.
I 21 criteri epidemiologici sono stati via via presi di mira da diversi governatori, che prima avevano chiesto che fosse il governo a prendere l’iniziativa, poi hanno inveito contro le restrizioni decise per i propri territori. Ora pretendono che il numero degli indicatori sia ridotto da 21 a 5. Anche molti esperti hanno chiesto un adeguamento, tra cui Fabio Ciciliano, membro del Comitato tecnico scientifico. Il fisico Giorgio Parisi, dell’Università Sapienza di Roma, aveva invece parlato di incertezza legata al calcolo dell’indice di contagio Rt. L’Iss ha risposto a ognuno di questi quesiti, difendendo la validità del sistema costruito per la valutazione del rischio epidemico, che “tiene conto di tutti gli aspetti legati all’epidemia e alla risposta dei sistemi sanitari”. La presenza di diversi indicatori, spiega l’Iss, “permette di limitare e controbilanciare gli effetti negativi dovuti al fatto che la pressione sui sistemi sanitari può avere qualche effetto negativo sulla completezza dei dati“.
Proprio per quanto riguarda l’indice di trasmissibilità Rt, l’Iss spiega che “è affidabile anche se non tiene conto degli asintomatici“. Infatti, l’Rt è calcolato sui casi sintomatici e su quelli ospedalizzati e “ciò permette di utilizzare un criterio stabile e costante“. Al contrario, chiarisce l’Iss, basare Rt sugli asintomatici “farebbe dipendere la sua stima da quanti screening o contact tracing è capace di effettuare ogni singolo territorio”. Il sistema infatti dall’inizio dell’epidemia a oggi ha indicato “correttamente – rileva l’Iss – dove e quando aumentava la trasmissione e quindi il numero di nuove infezioni e la pressione sul sistema sanitario”. In merito alla possibilità di rendere disponibili tutti i dati in un database interrogabile, come chiesto da più voci della comunità scientifica, l’Iss replica: “Stiamo lavorando di concerto con le autorità competenti allo sviluppo di ulteriori format di accesso ai dati nel rispetto della normativa”. “Non tutti i dati sono pubblici e disaggregati per garantire il rispetto delle norme che nel nostro Paese tutelano la privacy e delle ordinanze che disciplinano la sorveglianza epidemiologica”, aggiunge l’Istituto.
Perché i 21 indicatori – Nel suo vademecum l’Iss ricorda che per calcolare il rischio sono stati scelti 21 indicatori, di cui 16 sono obbligatori e 5 opzionali. Sono divisi in tre categorie: ci sono gli indicatori sulla capacità di monitoraggio, quelli sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e di gestione dei contatti, infine gli indicatori sui risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari. “Si è scelto di utilizzare più indicatori da più flussi informativi perché, soprattutto nelle emergenze, è più alto il rischio che i dati risentano del sovraccarico dei sistemi sanitari e abbiano quindi una completezza e tempestività non ottimale. In epidemiologia, si considera maggiore la solidità di un’analisi quando più fonti di informazione confermano una stessa tendenza”, spiega l’Istituto superiore di Sanità. Tutti questi dati vengono inviati dagli enti territoriali alle Regioni, che poi li trasmettono a ministero e Iss. “Sulla base di questi vengono applicati degli algoritmi che, combinati, permettono di valutare settimanalmente il rischio per ogni Regione”. Il sistema, spiega ancora l’Iss, “è necessariamente complesso per tenere conto di tutti gli aspetti legati all’epidemia e alla risposta dei sistemi sanitari”.
I dati “non sono vecchi” – L’Iss smentisce anche la teoria, sostenuta da molti governatori, che i dati siano vecchi: “Si realizzano ogni settimana analisi sui dati consolidati della settimana precedente tranne per alcuni dati, ad esempio i tassi di occupazione dei posti letto, per cui è disponibile un numero affidabile più aggiornato. Considerando che i tempi di incubazione di SARS-CoV-2 variano dai 5 ai 14 giorni, questa frequenza di aggiornamento è sufficiente a valutare l’andamento dell’epidemia”. Inoltre, “l’uso di indicatori prospettici come Rt, le proiezioni a 30 giorni dei tassi di ospedalizzazione e la valorizzazione dei dati su nuovi focolai che colpiscono popolazioni fragili ci permettono con gli stessi dati di ‘guardare avanti‘”. Alcuni dati scontano poi già in partenza una serie di ritardi, dovuti anche al fato che tra l’infezione, lo sviluppo dei sintomi, l’esecuzione del tampone e la conferma della positività (che poi va inserita nel sistema) passa necessariamente del tempo. “Il ritardo complessivo tra infezioni e loro rilevamento nel sistema di sorveglianza è valutato e aggiornato settimanalmente analizzando la stabilità del numero di casi (sintomatici o ospedalizzati) riportato a ciascuna data”, spiega l’Iss, aggiungendo che “su queste valutazioni si basa la scelta della data più recente alla quale si possono considerare sufficientemente stabili le varie stime di Rt”.
Perché l’Rt è affidabile – L’indice Rt è il numero medio di persone che vengono infettate da un singolo individuo, calcolato nel corso del tempo. Quindi permette ad esempio di monitorare l’efficacia delle misure restrittive nel corso di un’epidemia. L’Iss calcola l’Rt sui soli casi sintomatici o ospedalizzati, in modo che sia affidabile anche quando i sistemi di contact tracing sono in difficoltà: “Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti. Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening e contact-tracing da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare nelle diverse fasi epidemiche”. Per questo già da febbraio 2020 si è deciso di stimare la trasmissibilità del virus “a partire dalla curva dei casi sintomatici giornalieri, in quanto meno influenzato dal cambiamento che si è verificato in Italia nelle politiche di accertamento diagnostico“.
Le terapie intensive – Allo stesso modo, il tasso di occupazione delle terapie intensive e delle aree mediche è “un indicatore solido, per questo non se ne descrive il flusso in entrata e uscita”. In altre parole, spiega l’Iss, un aumento delle infezioni “provoca non solo un aumento del numero dei nuovi accessi ma anche la progressiva saturazione degli stessi. Pertanto il tasso di occupazione rappresenta un indicatore più utile per identificare quando la disponibilità di posti letto rischia di non essere più sufficiente”. Nel vademecum si legge che ” il tasso di occupazione sui posti letto già attivati rappresenta un indicatore utile per identificare quando la disponibilità di posti letto non occupati da pazienti Covid-19 rischia di non essere più sufficiente a garantire l’assistenza alla popolazione per questa e altre patologie“.