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Trump vuole vendere l’Alaska selvaggia alle compagnie petrolifere: al via le candidature per le trivellazioni

La Casa Bianca si sta affrettando a pubblicare le richieste di candidature per le compagnie interessate a operare in un’area rimasta inviolata per oltre 30 anni. L'ultimo atto del tycoon che potrebbe diventare una spina nel fianco per Biden

Prima di lasciare la Casa Bianca, il presidente uscente Donald Trump sembra determinato a cambiare il destino dell’Alaska e, dopo aver tolto (pochi giorni prima delle elezioni) lo status di area protetta alla foresta nazionale Tongass, una delle maggiori foreste pluviali al mondo, ora vuole a tutti i costi mettere la firma sull’avvio delle trivellazioni di olio e gas all’interno dell’area protetta Arctic National Wildlife Refuge, il più grande dei 16 National Wildlife Refuge dell’Alaska. Non è un luogo come un altro, ma il più grande rifugio nazionale per la fauna selvatica del Paese. È un’area selvaggia di circa 8 milioni di ettari nell’angolo nord-orientale dell’Alaska, rimasta inviolata per oltre 30 anni. La Casa Bianca si sta affrettando in queste ore a pubblicare le richieste di candidature (call for nominations) per le compagnie energetiche interessate a comprare i diritti per trivellare in un’area di circa 600mila ettari. Le aziende dovranno indicare le zone esatte dove sono interessate a esplorare il sottosuolo per trovare giacimenti. I tempi sono stretti dato che il nuovo presidente si insedierà il 20 gennaio 2021 e Biden (come la sua vice, Kamala Harris) ha più volte manifestato la sua contrarietà all’estrazione di petrolio e gas in aree interne all’Arctic National Wildlife Refuge.

IL PARADISO DELLA FAUNA SELVATICA – Si tratta di un’area selvaggia di circa 8 milioni di ettari nell’angolo nord-orientale del Paese rimasta inviolata per oltre 30 anni e casa e casa, a seconda delle stagioni, di orsi polari, lupi grigi, caribou, alci, uccelli migratori e altri animali selvatici. La costa settentrionale bagnata da quella parte del Mar Glaciale Artico che è il mare di Beaufort, è caratterizzata da diversi habitat, come le lagune e i delta dei fiumi che, verso sud attraversano un’immensa pianura che arriva fino alla catena montuosa delle Brooks Range. Tra le vette, le valli fluviali caratterizzate da una vegetazione molto varia, si va dai boschetti di pioppi fino agli abeti verso sud.

UNA BATTAGLIA DURATA 40 ANNI – Su quel paesaggio da decenni si gioca una partita. Da un lato i Repubblicani, che hanno cercato più volte di far partire le trivellazioni nella zona costiera che, secondo alcuni studi, sarebbe ricca di idrocarburi, puntando sullo sviluppo economico e occupazionale dell’area (soprattutto in tempi di crisi) e sono riusciti anche a dividere le comunità native. Perché se per gli Inupiat, comunità che vive vicino alla costa, l’industria del petrolio rappresenta la possibilità di nuovi posti di lavoro, per i Gwich’in che vivono a sud, lo sviluppo rappresenta un rischio. Sull’altro fronte i democratici, che hanno cercato di opporsi a una deregulation, preoccupati per i rischi di disastri ambientali e per la tutela di specie animali che popolano la zona. Sono passati quasi sei anni da quando l’ex presidente Barack Obama, nel gennaio 2015, aveva interrotto qualsiasi studio geologico per la ricerca di idrocarburi in quei territori, estendendo l’Arctic National Wildlife Refuge da 5 ad oltre 8 milioni di ettari. Un paio di anni dopo, però, alla Casa Bianca sarebbe arrivato Trump, con l’idea di cancellare la politica ambientalista (e non solo quella) del suo predecessore. Su richiesta del tycoon, nel 2017, il Congresso degli Stati Uniti ha dato l’autorizzazione alle attività petrolifere nell’area e nel dicembre 2018 l’Ufficio per la gestione del territorio dell’Interno (il Bureau of Land Management) ha concluso che la perforazione poteva essere condotta all’interno della pianura costiera senza danneggiare la fauna selvatica.

LE MOSSE DI TRUMP La scorsa estate, infine, il Dipartimento degli Interni ha dato il via libera alle trivellazioni e ora Trump ha poco tempo per assegnare i contratti, ma dalla sua c’è proprio quell’atto del Congresso. Trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione della ‘call for nominations’, l’amministrazione Trump dovrà emettere un avviso per la vendita delle concessioni, vendita che, a sua volta, dovrà avvenire entro altri trenta giorni. Se dovessero arrivare a buon fine gli intenti di Trump, per Biden potrebbe essere difficile tornare indietro.

L’INTERESSE DELLE COMPAGNIE – Se è chiara l’intenzione dell’amministrazione Trump di portare avanti “la politica di indipendenza energetica”, non è ancora chiaro, invece, l’interesse che potrebbero avere i principali attori dell’industria petrolifera e del gas. Di fatto, quando negli ultimi anni è stata la possibilità alle compagnie di stipulare contratti per cercare petrolio nella National Petroleum Reserve in Alaska, a ovest dell’ANWR, sono poche quelle che hanno manifestato interesse. Le ragioni sono diverse: le condizioni meteorologiche estreme, i dati a disposizione sulla geologia del sottosuolo, la mancanza di infrastrutture, i prezzi incerti e, non da ultimo, i rischi ambientali che allontanano anche le banche (alcuni grandi gruppo hanno già annunciato che non finanzieranno progetti in quell’area, ndr). Non è un caso che Chad Badgett, direttore della sezione per l’Alaska del Bureau of Land Management abbia dichiarato quanto sia importante per un’asta di successo “ricevere degli input dall’industria su quali tratti cedere in concessione”.