Da un lato gli asili nido, ancor più quelli privati, messi a dura prova dalla crisi determinata dalla pandemia da Covid-19, dall’altro i genitori che da settimane segnalano la presenza di clausole nei contratti con cui i nidi chiedono di continuare a pagare le rette (o, più spesso, parte di esse) anche in caso di chiusura per un nuovo lockdown o per l’eventuale diffondersi dei contagi tra bambini o personale. L’intenzione delle strutture è quella di ‘tutelarsi’ dopo l’odissea della scorsa primavera, quando diversi asili sono stati lasciati in ginocchio e, soprattutto, in attesa che arrivino le prime risorse provenienti dal Fondo di mutuo soccorso (a ottobre è stato pubblicato un nuovo bando per l’assegnazione di contributi, ndr), per alcuni già fuori tempo massimo. In realtà una situazione simile era già successa la scorsa primavera, quando le associazioni a tutela dei consumatori avevano raccolto l’appello di molti genitori a cui le strutture avevano chiesto di di contribuire almeno alle spese fisse. Da settembre, però, la richiesta in molti casi si è trasformata in un’imposizione, scritta nero su bianco nei contratti. Pena l’esclusione del proprio bambino dal nido, con tutte le conseguenze del caso.
È intervenuta anche l’Unione nazionale dei consumatori, spiegando che la cosiddetta ‘clausola Covid’ “non ha alcun valore”, qualora chieda l’intera retta nonostante la chiusura e l’impossibilità di frequenza. Assonidi, nel frattempo, invita a fare i conti con la realtà: “Il nostro contratto non vale meno di un abbonamento a Sky. Se si vuole ritrovare l’asilo nido privato aperto, quando tutto sarà finito, non mi sembra ci siano molte altre strade, se non quella di dare un contributo che sia, però, equo rispetto al servizio reso” ha spiegato a ilfattoquotidiano.it la vicepresidente Ahmed Mohamed El Boshi Malacka.
A FIRENZE SOSPESE LE RETTE DEI NIDI PUBBLICI – Per il pubblico una speranza può arrivare dai Comuni. A Milano, ad esempio, in primavera il Comune ha esentato le famiglie con bambini che frequentano gli asili nidi dal pagamento della retta per i mesi di chiusura straordinaria. Un provvedimento preso in tantissime altre città, da Monza a Brescia, da Cervia a Civitavecchia. In questa direzione, anche Federconsumatori aveva lanciato un appello al ministro dell’Istruzione e al Capo dipartimento delle politiche per la famiglia. Nei giorni scorsi, invece, sono accaduti due episodi significativi. La giunta comunale di Firenze ha approvato una delibera con lo scopo di sospendere la tariffa dei nidi (a gestione diretta e indiretta) per quei genitori i cui bambini sono costretti a periodi di assenza, in quarantena o in isolamento fiduciario, perché presentano sintomi legati al Covid-19 o perché hanno avuto contatti diretti con persone risultate positive. Si pagherebbe, dunque, solo per il periodo in cui il proprio figlio ha effettivamente frequentato l’asilo. A Canegrate (Milano), invece, dove si contano oltre 180 positivi e quasi cento in quarantena, il Comune ha deciso di chiudere l’asilo nido a causa di una catena di contagi fra il personale. E già è stato anticipato che verrà sospeso anche il pagamento delle rette, mentre verranno comunicate le modalità di compensazione per chi ha già pagato. Il problema maggiore, al di là dei singoli casi, si pone per le strutture convenzionate e private. Come si stanno organizzando i nidi che non possono contare su nessun tipo di aiuto, se non quello dei genitori?
LE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI – Alcuni nidi hanno infatti inserito clausole che prevedono il pagamento dell’intero importo, altri una parte. Qualcuno ha persino chiesto di pagare la quota per la mensa, anche nel caso in cui il bambino in questione non ne usufruisca e sia costretto a mangiare a casa. In questo modo, dunque, la famiglia dovrebbe pagare due volte, una per il pasto effettivamente preparato a casa, l’altra per quello mai consumato al nido. Una situazione paradossale. Nelle scorse settimane, dopo aver ricevuto le segnalazioni da parte dei genitori, sono intervenute diverse associazioni. Tra queste l’Unione nazionale consumatori, il cui presidente, Massimiliano Dona, la scorsa primavera aveva già consigliato ai genitori di valutare, caso per caso, l’attività educativa proposta a distanza dal nido e proporre una rimodulazione dei costi. Dopo le prime segnalazioni sulle nuove clausole inserite nei contratti, però, a settembre Dona ha pubblicato sul sito dell’Unc un video nel quale ha ricordato ai genitori l’esistenza dell’articolo 1464 del codice civile. “Nei contratti con prestazioni corrispettive – recita il testo – la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”. Se l’Unione nazionale consumatori sostiene, dunque, che qualora un nuovo decreto imponesse la chiusura “non sarebbe lecito per gli istituti pretendere l’intera retta (anche in caso di contratto firmato), ma qualora ci fossero le condizioni per attivare la didattica a distanza, andrebbe rimodulata la quota”, la stessa associazione sostiene che si tratta di una condizione difficilmente applicabile “per nido e scuola materna”. Per Dona si tratta di “una clausola contra legem, quindi vessatoria”. “La singola clausola è nulla e il contratto resta vigente” ha spiegato il presidente di Unc, annunciando la verifica di diversi contratti inoltrati all’Unc dai genitori e non escludendo eventuali azioni legali.
LA POSIZIONE DI ASSONIDI – Ma se da un lato c’è la situazione difficile dei genitori, dall’altro c’è quella di molte strutture private in difficoltà. Aiutate in teoria da slittamento delle tasse e dallo stanziamento di contributi a fondo perduto. A Milano, finora, sono tre le strutture private che hanno chiuso. “Ma la situazione dei privati e dei convenzionati non è paragonabile a quella dei nidi pubblici” spiega a ilfattoquotidiano.it la vicepresidente di Assonidi El Boshi Malacka, che ricorda la situazione di Milano, dove è titolare del nido Papaveri e Papere e dove ci sono tante strutture in convenzione che mettono a disposizione dei posti per il Comune che, a sua volta, versa una quota per ogni bambino. “La scorda primavera – spiega – il Comune ha sospeso le rette per i genitori e da marzo non ha più accettato le fatture delle strutture per i bambini in convenzione, nonostante questa prevedesse il riconoscimento di metà della retta, qualora il bambino non fosse venuto al nido. Capiamo il momento di difficoltà, ma da febbraio non abbiamo avuto più notizie”. Eppure quasi tutti gli asili nido in questione hanno proposto attività online “senza escludere i bambini in convenzione per cui il Comune non ha pagato un euro”. A maggio, poi, il Comune ha annunciato un contributo a parte per la didattica a distanza (ma non per quella già fornita gratuitamente ai bambini in convenzione): “Ammontava a 3mila euro, solo che – stando all’articolo 48 del Cura Italia – per accettarlo, avremmo dovuto rinunciare alla cassa integrazione per i dipendenti. Francamente ho nove dipendenti a cui pago 15mila euro di stipendi al mese. In un primo momento ho dovuto rinunciare e come me molte strutture, mentre ne hanno usufruito quelle più piccole. Poi il problema burocratico è stato risolto e ne ho potuto usufruire, ma solo a giugno”.
Questa la situazione che ha portato i nidi a volersi tutelare. “Se i genitori firmano un contratto con una struttura privata, va rispettato – commenta El Boshi Malacka – e ritengo che sia opportuno chiedere il 20, 30 o anche 50% a fronte di un servizio di didattica a distanza e del mantenimento del posto. Il codice civile? Dice che non si può chiedere la retta per intero. Non mi sembra che la maggior parte degli asili abbia inserito clausole da strozzini. I genitori che si vedono richiedere l’intera retta e il pagamento di un servizio di mensa di cui il bambino non usufruirà, possono scegliere di cambiare asilo”.