Anche nella capitale inglese la seconda ondata di coronavirus e le necessarie restrizioni stanno mettendo a dura prova le attività commerciali nel settore della ristorazione, ospitalità ed intrattenimento. Il governo britannico ha stabilito nuovi piani di aiuti per la nazione in occasione del secondo lockdown nazionale, in vigore dallo scorso 5 novembre: il “cancelliere dello scacchiere” (dall’inglese Chancellor of the Exchequer) Rishi Sunak ha annunciato l’estensione del Furlough Scheme fino a marzo 2021, per garantire uno stipendio dei lavoratori e delle lavoratrici (a contratto e alcune categorie di self-employed) dei settori più colpiti dalle restrizioni.
Nonostante le difficoltà quotidiane che i settori sopra elencati stanno affrontando, non manca da parte di molti la volontà di resistere a questo periodo per ritornare a lavorare. Prima dell’inizio del lockdown, sono andata a chiedere a due locali londinesi, gestiti da italiani, come stanno affrontando la situazione.
Berberè nasce da un’intuizione: riuscire a vendere un piatto molto inflazionato, come la pizza, cercando un equilibro tra la semplicità, e la ricerca di ingredienti di qualità. Londra è potenzialmente un mercato in continuo fermento, ma la pandemia è riuscita a bloccare anche una delle città più cosmopolite e produttive del mondo; chiudere il locale a marzo non è stata certamente una passeggiata. I fratelli Aloe hanno dovuto gestire la situazione, prima chiudendo i locali e poi, mettendo in sicurezza le pizzerie, confrontandosi con la legislazione italiana e quella britannica.
Da non sottovalutare l’aspetto psicologico: i dipendenti italiani a Londra hanno cominciato ad avvertire il problema da quando è stato stabilito il lockdown in Italia ai primi di marzo, considerando che il primo ministro Boris Johnson, fino a metà marzo, aveva deciso che il Regno Unito non avrebbe fermato alcuna attività. Per questa ragione, le preoccupazioni sia per la salute, sia per il futuro del business, si sono accavallate.
Con la seconda ondata le stesse preoccupazioni persistono: si è tornarti al servizio a domicilio e si ricorre agli ammortizzatori sociali. Ma nel frattempo, un altro problema è all’orizzonte: il negoziato Brexit che scade il 31 dicembre, le cui future regole sono ancora sconosciute. Da questo punto di vista, Berberè ha voluto, da un lato abituarsi all’idea che il locale inglese diventerà un business extra-Ue, riadattandosi a quello che sarà il nuovo regime di visti e dazi, e dall’altro, i fondatori cercheranno di mantenere le forniture di materie prime essenziali di alta qualità che caratterizza il brand.
In ogni caso, gli Aloe sono convinti che la riapertura, con l’esperienza della pandemia, non sarà solo legata ai nuovi introiti, ma anche a una maggiore consapevolezza dell’impatto della produzione alimentare sul pianeta. Quello che forse gli Aloe vogliono dirci è che anche coloro che lavorano in questo settore, devono essere consapevoli della necessità di un’agricoltura sostenibile: lo stesso coronavirus è indirettamente collegato all’attività della produzione di massa e dello sfruttamento dei suoli.
Per questa ragione, oltre a confidare nel fatto che i londinesi “non rinunceranno mai a una buona pizza!” come dicono gli Aloe, bisognerebbe ripensare a come contribuire, nella propria quotidianità, a non far ammalare il nostro pianeta (e di conseguenza gli esseri umani), scegliendo forniture di produzioni sostenibili.
L’attività di Flour and Flowers è stata particolarmente colpita dalla pandemia: lo scorso 23 marzo è stata aperta la saracinesca del locale al pubblico; ma proprio quello stesso giorno è stato annunciato dal governo britannico il lockdown nazionale. All’inizio della crisi pandemica, Giada si è ritrovata con il suo nuovo locale chiuso e molti debiti sulle spalle. Nonostante questa enorme difficoltà iniziale, Giada ha cercato, tramite il passa-parola e la creazione del sito, di far conoscere i suoi piatti nel quartiere londinese con consegne a domicilio.
Ma ovviamente la situazione l’ha portata a fare parecchi sacrifici, come lasciare la sua casa in affitto, prendendo una stanza a un prezzo minore e a risparmiare dove poteva. A causa di questa situazione lavorativa, Giada ha dovuto prendere delle decisioni personali molto dolorose, come l’interruzione di una gravidanza che desiderava. Inoltre, l’impossibilità di viaggiare, l’ha costretta ad assistere via whatsapp al funerale di un caro parente in Italia.
La riapertura dei mesi precedenti aveva dato una boccata d’aria a Flour and Flowers, ma ora tra il secondo lockdown e la Brexit, un nuovo panorama di incertezze si è ripresentato. Secondo Giada, la Brexit arriva nel momento sbagliato, in un clima di grande instabilità lavorativa del settore. Il suo nuovo locale sarà molto probabilmente coinvolto dal processo di uscita, poiché molti dei prodotti che offrono sono d’importazione dal Bel Paese.
La storia di Giada non sarà sicuramente un unicum: come lei suggerisce “se io mi ritrovo in questa situazione, non oso immaginare come stiano gli altri”, riferendosi non solo alle condizioni economiche, ma anche alle scelte di vita che sono state fatte dalle persone a causa della pandemia. La determinazione è una dote che a Giada non manca: lei crede davvero in questo suo progetto e continuerà a portarlo avanti nonostante la situazione. Non ha intenzione di tornare in Italia, perché “Londra è casa mia” come dice con orgoglio. Una città che secondo lei è l’emblema della libertà sociale, scevro dal provincialismo nostrano.
Arriva un messaggio forte e chiaro dai gestori dei locali che ho intervistato: loro non permetteranno che la loro storia finisca a causa dell’emergenza sanitaria e della Brexit. Non vogliono che il futuro delle loro imprese e le loro ambizioni vengano schiacciate da questo momento storico. Con il rispetto delle regole e con le precauzioni del caso, Berberè e Flour and Flowers, come tanti altri posti a Londra, continueranno a resistere.