Il conduttore ha raccontato la sua brutta esperienza con il Covid-19, le prime cure a casa e poi in ospedale fino all'anticamera della terapia intensiva. “Io li vedevo tutti, vedevo 24 persone immobili, intubate, come nei film di fantascienza. Pregavo per loro invece che pregare per me”, ha ricordato Gerry Scotti
Gerry Scotti ce l’ha fatta. Il conduttore è tornato a casa dopo una dura battaglia contro il Covid-19. Inizialmente sono bastate le cure a casa ma poi, dopo alcuni controlli, i medici hanno consigliato il ricovero in ospedale. “Al secondo controllo al Covid Center dell’Humanitas a Rozzano mi è stato consigliato di rimanere da loro perché avevo tutti i parametri sballati: fegato, reni, pancreas. – ha raccontato Scotti a Il Corriere della Sera – Ero già nell’unità intensiva, perché quando entri nel pronto soccorso del Covid Center non c’è l’area rinfresco, l’area macchinette, l’area vogliamoci bene: si apre una porta e da lì in poi vedi tutto quello che hai visto nei peggiori telegiornali della tua vita. Sono diventato verde, ho sudato freddo”.
Poi il racconto entra nel dettaglio: “I medici mi dicevano di non spaventarmi: non la mettiamo in terapia intensiva ma in una stanza a fianco perché abbiamo bisogno di attaccare al suo corpo una serie di strumenti per monitorarla, per sapere se la sua macchina, il suo corpo, ha bisogno di cure particolari. Ero in una stanzina, di là c’era la sliding door della vita di tantissime persone. Con due altri pazienti ci strizzavamo l’occhio, dai che ce la fai”.
Un momento delicatissimo per ‘zio’ Gerry: “Ho appurato, stando lì, due notti e un giorno, che quella era l’ultima porta. Se decidevano di aprire quel varco. Io li vedevo tutti, vedevo 24 persone immobili, intubate, come nei film di fantascienza. Pregavo per loro invece che pregare per me. Quando ho raggiunto lo stadio massimo di necessità di assistenza mi hanno fatto indossare il casco salvifico, è l’ultimo step indolore della terapia prima che ti intubino. Per un paio di giorni a orari alterni ho dovuto indossarlo anche io, è stato un toccasana. L’avevo visto in tv, letto suoi giornali, mi sembrava fantascienza. Ricordo lo slogan: il casco ti salva la vita. Adesso ho capito bene di che casco si tratta”.
Infine Scotti ha ringraziato tutti per i messaggi ricevuti: “Mi ha colpito molto anche l’affetto di tutti gli addetti ai lavori. Non voglio fare torto a nessuno, cito solo Carlo Conti, perché abbiamo vissuto un’esperienza in parallelo. Io gli chiedevo: quanti litri di ossigeno? Lui mi rispondeva 4. E io invece stavo ancora a 5. E la pastiglia, te l’hanno data? Abbiamo fatto come Coppi e Bartali”.
In Italia il dibattito è acceso anche dai negazionisti che puntano il dito contro i media e i dottori che si spendono in prima linea nella lotta per il virus: “Bisogna prenderli e lasciarli in quella stanzina un’ora. Non c’è bisogno di 36 ore come è stato per me. Sicuro che cambiano idea”, ha concluso.