di Andrea Taffi

Dopo la candida ignoranza di un commissario alla sanità calabrese su chi aveva il dovere di redigere il piano anti Covid-19 di quella regione; dopo l’allegra interpretazione sull’uso delle mascherine da parte del secondo commissario alla sanità, sempre della Calabria, sembrava di aver toccato il fondo. E invece no, c’è ancora tempo per raschiare. Il terzo commissario nominato dal Governo in dieci giorni in Calabria ci fa vivere l’esperienza (che come le altre avremmo tanto voluto evitare) di una rinuncia per sopravvenute esigenze familiari, ossia una moglie che non vuole trasferirsi a Catanzaro e che è così determinata nella sua volontà da minacciare di mettere in crisi il matrimonio se non viene accontentata. E infatti il marito l’accontenta e rifiuta l’incarico. E tre.

Ci sarebbe, però, un quarto candidato, uno tosto, un medico che ha lavorato per anni in territori difficilissimi dove la carenza di materiale, di medicine, di tutto può essere compensata solo da una immensa capacità, non ultimo umana. Questo candidato sarebbe in grado di ribaltare come un calzino la sanità della Calabria, di trasformarla in una eccellenza, di dimostrare come si fanno e si devono fare le cose, quando si hanno voglia e competenza.

Questo candidato sarebbe la dimostrazione di quanto il merito premia, di quanto siamo bravi anche noi, noi italiani, a fare le cose, quando ci mettiamo sul serio a farle, quelle cose. Per fare tutto questo il nostro candidato chiede (è ovvio) carta bianca; chiede (è altrettanto ovvio) di non essere il candidato di facciata, la bandierina di nessuno. Insomma chiede solo di poter lavorare, come sa fare, come ha fatto in luoghi difficili, difficilissimi.

Poi quel candidato viene chiamato: c’è l’accordo, dice. Tutto risolto, dunque? Dopo giorni di sbandamento e di nomine non proprio cristalline, finalmente il ravvedimento, l’uomo giusto al posto giusto? No. Fermi, fermi, mi spiego. È troppo bello per essere vero. Ci pensate? Un anno o forse due di Gino Strada in Calabria e il modello calabrese “rischierà” di diventare un brand nazionale, esportabile, brevettabile.

Tanto bello quanto inapplicabile. Dico questo (e con tristezza) perché il film non è originale, lo abbiamo già visto, purtroppo. Uomini capaci, chiamati a risolvere problemi immensi e poi criticati, osteggiati, delegittimati e costretti ad abbandonare, per coerenza con se stessi e le proprie idee. Gino Strada può invertire questo andazzo? Io credo di no.

Gino Strada è il Ronaldo che scende in campo nella partita tra scapoli e ammogliati. È quello che è successo prima, prima di quella partita giocata da pasciuti e spompati signori in un triste campaccio di periferia, che mi fa dubitare. Perché tutti quelli che potevano evitare che si arrivasse alla tragedia, facendo semplicemente il proprio dovere, senza essere dei campioni, non sopporteranno un campione vero in campo e si metteranno tutti insieme a cercare di non farlo giocare, finché quel campione deciderà di andarsene, di sua volontà. Con buona pace del merito e di tutti coloro che lo invocano invano.

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