Il tribunale di Lecce ha stabilito per l'ex gip della procura pugliese anche la confisca di 2,2 milioni di euro e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Altre quattro condanne con pene tra i 4 e i 9 anni per un avvocato, il cognato dell'ex pm Savasta e un poliziotto
Carcere. Per 16 anni e 9 mesi. È la pena inflitta dal tribunale di Lecce nei confronti dell’ex gip Michele Nardi, ritenuto uno degli esponenti di spicco del “sistema Trani”, il gruppo di magistrati e avvocati portato alla sbarra dalla procura leccese con l’accusa di aver manipolato procedimenti giudiziari che coinvolgevano imprenditori amici ottenendo in cambio di denaro, regali e favori. Per Nardi la procura di Lecce aveva chiesto la condanna a 19 anni e 10 mesi, ma il tribunale ha emesso un verdetto leggermente meno pesante assolvendo l’ex collega dal reato di millantato credito.
I giudici leccesi ha inoltre condannato l’ispettore di Polizia Vincenzo Di Chiaro a 9 anni e 7 mesi, l’avvocatessa barese Simona Cuomo a 6 anni e 4 mesi, Gianluigi Patruno a 5 anni e 6 mesi e infine Savino Zagaria a 4 anni e 3 mesi. Queste le condanne comminate dopo la camera di Consiglio dai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Lecce chiamati ad esprimersi sull’ex gip di Trani e su altri quattro imputati nel troncone del processo sulla Giustizia svenduta al Tribunale di Trani che si celebra con rito ordinario. Per Nardi e l’ispettore DI Chiaro, il collegio di giudici ha inoltre disposto l’estinzione del rapporto di lavoro con lo Stato e la confisca di beni in solido con altri imputati per un valore complessivo di 2 milioni e 200mila euro.
La condanna di Nardi e gli altri imputati si aggiunge a quelle già inflitte agli altri coimputati che avevano scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Il 9 luglio scorso infatti il giudice Cinzia Vergine aveva inflitto 10 anni di carcere all’ex pubblico ministero Antonio Savasta, considerato l’organizzatore dell’associazione a delinquere: tra gli episodi raccolti dai pm salentini Roberta Licci e Giovanni Gallone nei confronti di Savasta, anche l’incontro a Palazzo Chigi con Luca Lotti. Fu Tiziano Renzi, padre dell’ex premier e leader di Italia Viva, secondo quanto dichiarato dall’imprenditore Luigi Dagostino, ex socio di Renzi senior e condannato a 4 anni di reclusione, a fare da tramite per organizzare quell’incontro. E proprio grazie alla mediazione del babbo di Renzi il pm Savasta ottenne quell’incontro con Lotti. E poi altri 4 anni di carcere per l’altro magistrato Luigi Scimè che ha dovuto anche abbandonare la magistratura: nei suoi confronti, infatti, il giudice Vergine aveva disposto anche l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Condanna a 4 anni e 4 mesi di carcere, infine, per Ruggiero Sfrecola e 2 anni e 8 mesi per Giacomo Ragno, i due avvocati che avrebbe in alcuni episodi fornito un importante contributo al sistema.
Nel corso del processo di primo grado, giunto ora alla sua conclusione, Michele Nardi si è difeso con tutte le sue forze negando ogni accusa e muovendo a sua volta pesanti invettive nei confronti della procura leccese, degli investigatori che hanno condotto le indagini e persino scaricando la responsabilità sui suoi ex colleghi. I magistrati leccesi lo hanno accusato di aver costruito un sistema nel quale l’ex gip offriva inizialmente la sua esperienza e la sua competenza a imprenditori in difficoltà per poi millantare la possibilità di avvicinare colleghi per sistemare la questione. In cambio? Regali, favori e denaro. L’imprenditore Flavio D’Introno, il grande accusatore di Nardi, gli avrebbe donato un Rolex Daytona per ottenere un suo intervento che tuttavia non ci sarebbe mai stato. A raccontarlo, durante le indagini, è stata una donna che poi al processo ha però cambiato versione sostenendo che quell’orologio da oltre 25mila euro era in realtà destinato proprio a lei. Per l’accusa, inoltre, l’ex magistrato avrebbe ottenuto anche i lavori di ristrutturazione della villa a Trani e di una casa a Roma. D’Introno, però, non è stato l’unico a puntare il dito con il sistema Trani. Anche altri grandi imprenditori pugliesi hanno ammesso in aula di aver versato fiumi di denaro per uscire dal carcere o sfuggire a indagini della procura di Trani.
Il “sistema Trani”, però, avrebbe avuto anche altre articolazioni. Altri legami tra magistrati e avvocati che non sarebbero confluiti in questo processo. Stando a quanto ricostruito finora nel corso delle indagini della procura di Potenza, infatti, gli inquirenti ipotizzano che sia esistito un sospetto legame anche tra l’avvocato Giacomo Ragno e l’ex procuratore di Trani Carlo Maria Capristo, quest’ultimo arrestato quando è divenuto capo della procura di Taranto per le pressioni su una giovane pm all’epoca in servizio a Trani affinché velocizzasse un’indagine con esito favorevole a imprenditori ritenuti dall’accusa a lui vicini. Capristo è nel mirino della procura lucana per aver tentato di riprodurre a Taranto, e in particolare nell’affare Ilva, quel sistema. Dopo il suo arrivo, come raccontato dal Fatto, nel processo Ambiente svenduto avrebbe fatto la sua comparsa anche l’avvocato Ragno. Il procuratore di Potenza, Francesco Curcio, ha depositato le dichiarazioni rese da un altro magistrato, in passato in servizio a Trani, che raccontano non solo il rapporto tra Ragno e Capristo, ma anche i tentativi di quest’ultimi di intervenire sui colleghi a favore dell’avvocato.
A raccontarlo ai magistrati di Potenza è stato il giudice Roberto Oliveri Del Castillo, autore del romanzo “Frammenti di storie semplici”, in cui si racconta la malagiustizia di un piccolo ufficio giudiziario della provincia pugliese che per molti è sembrato essere proprio quello di Trani. Il giudice è stato ascoltato dalla procura lucana come persona informata dei fatti e ha raccontato “di essere stato invitato dal Procuratore ad accogliere ‘velocemente la richiesta di archiviazione perché l’accusa era a suo dire infondata e l’avv. Ragno era un galantuomo vittima di calunnia”. Non solo. Del Castillo, allora gip di Trani, si ritrovò un fascicolo nel quale l’avvocato Ragno, difensore di un indagato, gli aveva spiegato di un “atteggiamento accusatorio ‘benevolo’ del Capristo” che gli aveva fatto intendere “che il procedimento poteva concludersi in fretta con esito positivo per l’assistito”. La condanna di Nardi, insomma, aggiunge un nuovo tassello alla malagiustizia a Trani. Uno nuovo, ma certamente non l’ultimo.