L’emergenza Covid, almeno durante la prima ondata, ha messo in croce i servizi per la salute mentale. Da un’indagine condotta dall’assessorato alle Politiche per la salute della Regione Emilia Romagna tra marzo e aprile 2020 è emersa una drastica e generale riduzione degli interventi psichiatrici rispetto agli stessi mesi del 2019. “Per il blocco delle attività sanitarie ordinarie, per la paura del contagio e perché non c’erano abbastanza dispositivi di protezione – dichiara Fabrizio Starace, direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Ausl di Modena e presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica (Siep) che ha collaborato al monitoraggio -. Oggi questa situazione non si sta ripetendo, l’accesso ai servizi continua a essere garantito nel rispetto delle norme anticovid”. I dati raccolti dimostrano come otto mesi fa si siano ridotti i ricoveri ospedalieri, i trattamenti sanitari obbligatori (tso) e gli accessi in pronto soccorso dei pazienti psichiatrici. Nello specifico i nuovi ricoveri (compresi quelli per i tso) sono diminuiti del 32,5 per cento a marzo e del 42 per cento ad aprile. Idem gli accessi al pronto soccorso (meno 45,6 per cento e meno 47 per cento). “Questo significa che i pazienti con un disturbo mentale severo, come la schizofrenia, hanno reagito con resilienza, hanno rispettato le norme anticovid e hanno proseguito le cure a domicilio” spiega Starace. Si è registrato anche un numero inferiore di prestazioni erogate dai centri di salute mentale, incluse quelle a domicilio: dalle 99mila di marzo 2019 alle 68mila di marzo 2020 (di cui oltre 12mila via telefono o videochiamata) e dalle 87.500 di aprile 2019 alle 69.600 di aprile 2020 (di cui oltre 17mila via telefono o videochiamata). Calate allo stesso tempo più della metà le nuove prese in carico nei centri (meno 53,5 per cento e meno 60,9).
C’è poi l’altra faccia della medaglia. L’emergenza sanitaria ha infatti messo a nudo la sostanziale inadeguatezza del modello delle strutture residenziali. “In tutta Italia l’utenza residenziale è rimasta isolata. Per gli ospiti sono stati limitati al massimo i contatti con l’esterno. Pertanto ne ha risentito la loro attività di riabilitazione. Questo effetto ci mostra gli aspetti su cui bisogna intervenire per migliorare l’assistenza”. Il presidente Siep lo chiarisce bene: “L’istituzionalizzazione delle cure, cioè la permanenza dei soggetti in strutture chiuse e ad alta concentrazione va necessariamente superata coi budget di salute, strumenti che consentono di riconvertire la residenzialità in progetti terapeutici riabilitativi personalizzati, quindi più mirati e integrati col territorio”. Il budget di salute rappresenta l’insieme delle risorse economiche, professionali e relazionali necessarie a promuovere contesti familiari e sociali entro cui realizzare programmi di cura personalizzati e socialmente inclusivi. L’obiettivo non è solo dimettere i pazienti dalle residenze sanitarie e cercare di evitare o ritardare l’ospedalizzazione. Interventi di questo tipo richiedono l’attivazione integrata dei servizi sociosanitari, e dunque il coinvolgimento di aziende sanitarie locali, Comuni e famiglie per garantire la partecipazione attiva alla comunità della persona affetta da disturbi psichici. Per assicurarle una graduale crescita sul lavoro e nei legami sociali puntando all’autonomia futura del soggetto. “Le esperienze condotte da ormai 15 anni, in Friuli e Campania soprattutto, hanno dato risultati più che soddisfacenti – commenta Starace -. Con il budget di salute diminuisce il ricorso a ricoveri urgenti e all’uso di farmaci. Le evidenze ci sono, non siamo più nella fase sperimentale, ora però è necessario che questo strumento diventi ordinario e non straordinario di alcune realtà. Servono modalità omogenee a livello nazionale per evitare che si creino disuguaglianze di trattamento”. A questo proposito un anno fa ministero della Salute e Regione Emilia Romagna hanno stretto un accordo di collaborazione finalizzato a mappare le diverse esperienze regionali o provinciali e a proporre linee di indirizzo nazionali che supportino le amministrazioni nell’adozione dei budget di salute (come strumento di welfare di comunità). “Tutte le otto ausl dell’Emilia Romagna hanno adottato questo strumento. Anche per i pazienti nelle Rems può essere usato – riferisce Mila Ferri, responsabile dell’ufficio salute mentale della Regione e coordinatrice scientifica del progetto -. Il progetto col ministero ha durata biennale e costituisce la base per l’intesa in Conferenza Stato-Regioni sulla presa in carico socio-sanitaria delle persone più fragili attraverso il ricorso dei budget di salute”. Come stabilito dal comma 4 bis, articolo 1, della legge di conversione del decreto Rilancio approvata a luglio.
Una realtà consolidata nella promozione dei progetti terapeutici riabilitativi individualizzati attraverso i budget di salute è il consorzio Nco (Nuova cooperazione organizzata), nato nel 2012 e formato da sette cooperative sociali dislocate tra la provincia di Caserta e quella di Napoli. “Abbiamo in carico una cinquantina di persone – dice il presidente del consorzio Simmaco Perillo – che vivono in gruppi appartamento, diventano soci e seguono un percorso di crescita lavorativa nelle attività delle cooperative”. Il ristorante, l’azienda agricola, la fattoria didattica, l’agriturismo, il frantoio, la cantina e l’azienda di trasformazione alimentare. “C’è chi rimane qui a lavorare anche al termine del progetto di riabilitazione – spiega Perillo -. Sentirsi attivi e avere degli obiettivi quotidiani aiuta la persona ad autodeterminarsi attingendo dalle sue risorse personali e ricorrendo di meno ai farmaci antidepressivi o ai tranquillizzanti per dormire”. I progetti terapeutici personalizzati portano evidentemente a un risparmio per il Servizio sanitario nazionale, oltre che essere più efficaci per il benessere della persona.
Un’altra iniziativa fortunata che si avvale dei budget di salute è Recovery.net, pensata dall’asst degli Spedali civili di Brescia e asst di Mantova, che consiste: nell’attivazione di tre laboratori (di cui uno nella Rems di Castiglione delle Stiviere) dove utenti, operatori e comunità locale si confrontano per definire il percorso di riabilitazione individualizzato e promuovono la cultura della salute mentale sul territorio; in una serie di prescrizioni sociali al posto dei farmaci (attività fisica per la depressione o artistica per la solitudine, meditazione per i disturbi d’ansia, eccetera); in programmi di supporto tra pari, cioè gli utenti esperti aiutano quelli nuovi; e un’app che mappa i servizi in città a disposizione dei pazienti psichiatrici. Mentre il dipartimento di salute mentale di Trieste dal 2015 impiega i budget di salute per l’innovativo programma di recupero nella Recovery house, un luogo dove i ragazzi (tra i 18 e i 26 anni) affetti da schizofrenia e altri gravi disturbi della personalità imparano a costruire una strada verso l’autonomia. Il soggiorno dura al massimo sei mesi. Il primo obiettivo è prendersi cura della propria igiene e del proprio aspetto. Fare la spesa, cucinare, gestire gli spazi in comune sono altri piccoli traguardi quotidiani. Chi studia all’università viene aiutato a superare gli esami, chi non ha un lavoro viene aiutato a trovarne uno e chi è pronto per uscire dalla famiglia a trovare la sua indipendenza abitativa. La regola della convivenza è il dialogo di gruppo due volte al giorno, la collaborazione attiva di tutti e il confronto settimanale con i parenti.