Parla Matteo Stocco, il direttore generale degli ospedali San Paolo e San Carlo di Milano, destinatario di una durissima lettera-denuncia dei medici d'urgenza che si vedono "costretti a operare scelte clinicamente e eticamente tollerabili". La sua difesa: "Abbiamo assunto 22 medici e reclutato 17 infermieri in più, ci siamo rivolti anche all'interinale, ma il personale non si trova più"
“E’ inutile negare l’evidenza. La seconda ondata ci ha travolti peggio della prima. Sono state settimane difficilissime, ma le contromisure che abbiamo messo in campo hanno consentito agli ospedali di tenere e non chiudere i pazienti nei ripostigli”. Matteo Stocco è il direttore generale degli Ospedali San Paolo e San Carlo di Milano, sul cui tavolo si materializza la lettera dei medici d’urgenza e dei rianimatori che denunciano il collasso dei reparti, tale che – si legge – “ci vediamo costretti a operare scelte relative alla possibilità di accesso alle cure, che non sono né clinicamente né eticamente tollerabili. Contro la nostra volontà e, soprattutto, contro la nostra coscienza umana e professionale, ci vediamo forzati a dilazionare l’accesso a terapie e tecniche potenzialmente curative e non poter trattare tempestivamente, con adeguata assistenza e in ambiente appropriato tutti i pazienti che ne potrebbero beneficiare”. La lettera è stata protocollata ieri ma Stocco – che ha una lunga carriera come manager della sanità lombarda e da due anni guida i due ospedali milanesi – non ne parla e prova a ridimensionare la denuncia, sostenendo che “quello che si poteva fare lo abbiamo fatto, è chiaro che il personale ha vissuto una pressione straordinaria”.
Partiamo dai dati sugli accessi, forse l’unica buona notizia
“Nelle scorse settimane abbiamo avuto punte di 130 accessi covid al giorno in contemporanea nei due pronti soccorso. Da qualche giorno, per fortuna, osserviamo una forte riduzione. Mentre le parlo ne abbiamo 46 covid e 38 non covid. Certo continuiamo ad avere 350 posti letto covid occupati e altrettanti in degenza ospedaliera. Eravamo arrivati ad avere il 54% di covid, e questo ovviamente ha avuto effetti su tutti i reparti”.
Medici e anestesisti dicono che manca personale per garantire cure a tutti. E sono costretti a scegliere
“Guardi io vado spesso nei reparti, sento l’aria che tira. E’ chiaro che l’ondata li ha messi sotto pressione, ma non siamo rimasti con le mani in mano. Da febbraio abbiamo assunto 22 medici specializzandi nelle tre arre fondamentali (anestesisti, pneumologi e infettivologi) grazie alla deroga del governo sulle specialità che ha consentito di reclutarli fin dal quarto anno. Abbiamo anche aumentato gli infermieri di 14 unità, più altri 47 che abbiamo reclutato tramite un’agenzia interinale. Così abbiamo garantito la copertura dei turni.
Non si poteva fare di più?
Guardi, probabilmente non riusciremo a spendere le risorse che la Regione ci ha messo a disposizione perché il problema è proprio trovare il personale. Nella prima ondata era coinvolto solo il Nord e si trovavano medici e infermieri dal Sud, ma ora l’emergenza è in tutta Italia e tutti cercano le stesse professionalità. Non a caso per gli infermieri ci siamo dovuti rivolgere all’interinale.
Le foto che pubblichiamo mostrano pazienti in barella che vengono visitati nella sala d’attesa
“Non sto a negare che abbiamo avuto giornate durissime, so che il discorso barelle fa effetto ma sono comunque letti che consentono agli operatori di lavorare, e sono serviti soprattutto per i pazienti in osservazione, molti dei quali – una volta stabilizzati – effettivamente sono stati dimessi nel giro di due o tre giorni e mandati a casa con la terapia. Ecco, questo ci tengo a dirlo: nonostante questa situazione, la dignità l’abbiamo garantita, non abbiamo messo la gente nei ripostigli o a dormire per terra. Al massimo erano in corridoio”.
Ma come è possibile, visto che la seconda ondata era ampiamente annunciata?
“Dall’esperienza fatta nella prima, abbiamo garantito delle prese accessorie d’ossigeno anche lungo i corridoi perché sapevamo che potevamo andare incontro a un’emergenza e i locali sarebbero finiti. Non abbiamo sbarellato la gente e tolto le barelle dalle ambulanze. Ripeto, non c’era gente per terra”.
Sa che ci sono stati 300 dipendenti contagiati da inizio emergenza, quanto sono “stressati” gli operatori dei suoi ospedali?
“Il problema dello stress lo sentiamo, ma abbiamo sempre garantito i minutaggi assistenziali in tutti i reparti. Sono perfettamente consapevole che con questi numeri abbiamo avuto giorni difficilissimi. Non abbiamo ancora smaltito le tossine della prima ondata e ci siamo ritrovati immersi nella seconda che è ben più potente, coi numeri che le ho dato. Nei reparti ci vado, sento l’aria che tira. Abbiamo istituto un servizio di supporto psicologico, si chiama “Camera di decompressione” che supporta chi ne ha bisogno. E funziona”.