La banca centrale turca ha alzato i tassi di interesse portandoli al 15% dal precedente 10,25%, il rialzo più forte degli ultimi 2 anni e in linea con le attese degli analista. La lira si è immediatamente rafforzata sul dollaro, arrivando a guadagnare oltre il 3%. Si rompe quindi il tabù di Ankara dove il presidente Recep Tayyip Erdogan si è sempre energeticamente opposto a un rialzo dei tassi a causa delle ricadute negative sulla crescita economica. Ma la situazione rischiava ora di finire fuori controllo, con la lira in caduta libera (- 22% sul dollaro nell’ultimo anno) e la banca centrale con le riserve a secco, costretta a farsi prestare valuta estera dalle banche turche per continuare ad acquistare lire sul mercato e arginarne la discesa.
Dieci giorni fa però qualcosa è cambiato. Berat Albayrak , genero di Erdogan, si è dimesso dalla sua carica di ministro delle finanze. Solo poche ore prima l’avvicendamento alla guida della banca centrale: Naci Agbal ha preso il posto di Murat Uysal su decisione del presidente turco. Nel complesso, il segnale che è giunto ai mercati, è quello di una presa meno stretta sull’economia da parte di Erdogan, dovuta in parte alle circostanze, in parte da una presa d’atto da parte del presidente della necessità di cambiare rotta. La mossa odierna della banca centrale, benché quasi obbligata, sembra confermare questa impressione.
La Turchia è un paese fortemente indebitato in dollari. Per attrarre investimenti dall’estero le aziende locali hanno emesso grandi quantità di obbligazioni denominate nella valuta statunitense. Significa che chi le ha sottoscritte riceve interessi e saldo finali in dollari. Ecco perché il cambio della valuta locale rispetto a quella statunitense è particolarmente importante e in grado di infliggere dolori all’economia locale. Più la lira si svaluta, più le aziende fanno fatica a rispettare i loro obblighi di debitori.