Sorriso d’ordinanza da villaggio turistico, abiti e soprattutto movimenti improbabili per cercare di stare al passo con l’animatrice. Estate, seconda metà Anni 90: è il momento balli di gruppo, di quelli che quando sei a casa preferiresti Torquemada piuttosto ma che quando sei in vacanza non ti perdi neppure se ti muovi come un pachiderma. Il ritmo è quello del “Tiburon”: roba latinoamericana che di lì a poco scomparirà, dimenticata per decenza (e perché gli smartphone e i social non li hanno ancora inventati) e per il salvifico principio della negazione.
Sarà la sorte dei “Tiburon”, che in spagnolo vuol dire squalo, quella di finire presto e mestamente nel dimenticatoio. Qualche anno prima infatti era toccato a un altro tiburon: Oscar Alberto Dertycia.

È l’89 e a Firenze è andato via Eriksson, dopo il bel campionato finito col settimo posto è arrivato Bruno Giorgi e si cerca un attaccante. Il sogno è far ritornare Ramòn Diaz, dopo una stagione all’Inter, ma l’argentino spara alto: 500 milioni all’anno. Il presidente viola, il conte Pontello, la prende come un’offesa personale: “Piuttosto che far venire Diaz gioco io centravanti”. A posteriori non sarebbe stata un’idea tanto sbagliata. Si ripiega su un attaccante più giovane, inseguito da mezza Europa per i suoi gol all’Argentinos Juniors e già nel giro della nazionale di Menotti: Oscar Dertycia appunto, pagato 2 miliardi e 200 milioni di lire.

La piazza di Firenze smaltisce la delusione per il mancato ritorno di Diaz e si entusiasma per quel bomber di cui si dice un gran bene: alto, potente ma tecnico, una vita per il gol vissuta nel mito di Mario Kempes, una faccia da pugile e una cascata di riccioli neri. Ma l’impatto con l’Italia è terribile, a partire dai ritmi, impossibili da affrontare in condizioni atletiche non proprio perfette. Dopo alcune gare impalpabili e senza gol Oscar scivola in panchina: la Fiorentina fa malissimo, c’è solo Baggio a tenerla a galla e i tifosi sono inferociti con società e allenatore (celebre lo striscione al Franchi “Giorgi sì…ma Eleonora”). Al posto dell’argentino in attacco trova posto Buso, che attaccante non è.

La svolta sembra arrivare esattamente 31 anni fa, il 20 novembre 1989 contro l’Ascoli, quando i viola devono vincere perché pericolosamente vicini alla zona calda: Baggio ne fa due bevendosi la difesa marchigiana, poi sale in cattedra Dertycia, prima con un bell’esterno destro sul secondo palo e il dito al cielo, a ringraziare per la gioia, poi con un bel colpo di testa da centravanti vero. Poi ancora Baggio per il 5 a 1 finale. A quel punto ci crede Dertycia, che segna anche alla successiva, sempre di testa contro il Cesena: inizia a crederci anche il pubblico viola. Ma ci si mettono una squadra messa su male e la sfortuna: la Fiorentina non vince più e l’incubo retrocessione diventa concreto.

All’inizio del nuovo anno Dertycia segna un gol in campionato, contro il Genoa. Un altro al Bologna in Coppa Italia, poi nel turno successivo a Perugia contro il Napoli si scontra con Maradona, inizia a sentire dolore al ginocchio e chiede il cambio. La diagnosi è impietosa: rottura del legamento crociato anteriore. Le cure non danno gli esiti sperati e si parla di un anno di stop o addirittura di fine della carriera: Oscar è pur sempre un ragazzo di 24 anni in un paese straniero e stare solo coi fantasmi e la concreta possibilità di dover provare a fare altro nella vita lo distrugge psicologicamente. Un esaurimento nervoso fortissimo gli provoca un’alopecia da stress che lo rende completamente glabro in tutto il corpo: a rivederlo smagrito e completamente calvo e ripensando a quel ragazzo riccioluto che era arrivato dall’Argentina si stenta a credere si tratti della stessa persona.

La Fiorentina si salva solo all’ultima giornata con Ciccio Graziani subentrato a Giorgi, la società passa a Cecchi Gori che sceglie Lazaroni per la panchina della prossima stagione: Dertycia sarà sacrificato per prendere Lacatus, ma l’argentino accetterà serenamente di rescindere il contratto, conscio di aver fatto troppo poco. Andrà in Spagna, prima al Cadice e poi al Tenerife dove gioca su discreti livelli, per poi tornare in Argentina e chiudere la carriera in Perù. Sfortunato sì, ma anche poco adatto all’Italia: il suo ricordo si è trasformato in un incubo per i tifosi viola, tant’è che i primi mesi di ambientamento e le difficoltà di un mostro come Batistuta furono vissuti con enorme apprensione. Qualcuno addirittura definì Batigol “Un Dertycia coi capelli”. Ma in fondo, pur relegandolo a “grande classico del bidone”, quello del “tiburon” Dertycia resta un ricordo simpatico: proprio come quello del tiburon ballato in vacanza, anche se non lo ammetteremo mai.

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