“Raccontare quei momenti per me è difficile”. Mario Piga, ex centrocampista dell’Avellino a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, fa fatica a ricordare il terremoto dell’Irpinia anche a distanza di quarant’anni. “Un’apocalisse”, dice. Fu una scossa violenta che durò 90 secondi, causando quasi tremila vittime e 280mila sfollati. Il sisma si verificò domenica 23 novembre alle 19.34. Nel pomeriggio l’Avellino aveva sconfitto in casa l’Ascoli 4-2. Autogol di Scorsa, Juary e doppietta di Ugolotti (uno su rigore) per i biancoverdi, Trevisanello e Scanziani per i marchigiani.
L’Avellino frequentava la massima serie dal 1978, il gol della promozione lo aveva segnato proprio Piga contro la Sampdoria. In quel 1980 la squadra era partita con cinque punti di penalizzazione per via dello scandalo Totonero di qualche mese prima. Ma quella allenata da Luis Vinicio era una formazione brillante e con la vittoria sull’Ascoli abbandonava, all’ottava giornata, l’ultimo posto in classifica. Poi in serata il terremoto con magnitudo 6,9 che colpì Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale.
“Vivevo con moglie e figlio in zona Alvanella. In casa quella sera c’era anche mia suocera e Pierpaolo Marino, il giovane dirigente con cui avevo un bellissimo rapporto. Eravamo tutti a tavola per la cena. Avevo la forchetta in mano e i tortiglioni sul piatto, sentii tremare il pavimento come fosse entrata una ruspa da sotto per sfasciare tutto. Presi immediatamente il bambino in braccio, mentre Pierpaolo diceva: il terremoto, il terremoto…”.
Il panico.
“Eravamo al primo piano, il portone era chiuso, la chiave era là ma non la trovavo. Ho rotto un vetro e mi sono fatto male. Fuori era buio ed era un caldo torrido. Tutto sembrava strano. Alla mia auto parcheggiata lì fuori, se ne erano attaccate altre due ai lati”.
Intanto la mano sanguinava…
“Pierpaolo mi disse di andare al pronto soccorso. In pochi chilometri ho visto cose allucinanti: case crollate, pali della luce a terra, gente che gridava. Un’apocalisse. In ospedale assistetti ad altre scene incredibili, tutti erano presi dal panico. La sala dove mettevano i punti di sutura era in una zona dello stabile molto pericolosa qualora fosse arrivata un’altra scossa. Un infermiere mi riconobbe e mi curò perché la mano non poteva rimanere in quelle condizioni. In dieci minuti mi mise 8 punti e ritornai verso casa”.
Dove passaste la notte?
“Ci siamo messi in macchina verso Roma dove avevamo dei parenti. Cinque ore di strada, c’era una coda mai vista e continuava a fare molto caldo”.
E i giorni successivi?
“Furono tremendi per tutti. La squadra dovette trovare un nuovo campetto per gli allenamenti, al mercoledì ci spostammo a Montecatini perché la partita con la Pistoiese non venne rinviata. Perdemmo 2-1, eravamo completamente imbambolati”.
Poi la squadra si riprese regalando, per quanto possibile durante una tragedia del genere, attimi di serenità agli avellinesi.
“Giocammo due gare casalinghe allo stadio San Paolo di Napoli. Vittoria con il Catanzaro, poi pareggio con la Juve grazie ad un mio gol. Fu la svolta della stagione”.
Alla fine vi avvicinaste alla qualificazione in Coppa Uefa.
“Era una bella squadra. Vinicio faceva un calcio aperto, beccavamo qualche gol in più ma avevamo una mentalità offensiva. In quella partita con l’Ascoli erano in campo contemporaneamente Juary, Vignola e Ugolotti. Io ero un tuttocampista come oggi può essere Barella. Soprattutto c’era un bel gruppo, che andava d’accordo con società, tifosi e giornalisti”.
Oggi lei è tornato a vivere in Sardegna, a Palau dove è nato.
“Avellino mi ha dato tutto, compresi i campionati più belli della mia carriera. È la mia seconda casa. Quando passo in città, l’affetto della gente mi mette persino a disagio”.