Attualità

Michela Giraud a FQMagazine: “Ero quella che alle cene rompeva le scatole a tutti. La comicità non deve essere corretta, ma intelligente”

Trentatré anni, romanissima, la comica di Educazione Cinica (ora volto di Comedy Central News) racconta a Ilfattoquotidiano.it la sua infanzia in una famiglia borghese, tra i manga e Serena Dandini, e i progetti per il futuro. E sul body shaming dice: “La gente proietta le proprie frustrazioni sui personaggi pubblici, ma il corpo appartiene solo a noi”

di Beatrice Manca

Michela Giraud vuole tutto. E fa bene a prenderselo: 33 anni, romanissima, è una delle comiche più intelligenti (e amate) in circolazione. Non ancora un nome “mainstream da non uscire di casa”, come dice lei, ma nemmeno una ‘giovane promessa’: quest’anno ha eredito la conduzione di Comedy Central News da Saverio Raimondo, è uscita in libreria con un romanzo scritto a otto mani ed è anche arrivata in prima serata su Rai1, con un ruolo nel film di Luca ManfrediPermette? Alberto Sordi”. Al Fattoquotidiano.it racconta della bambina cresciuta in una famiglia borghese con la sindrome di ‘Bravo Bravissimo’ (“O lo hai fatto da piccolo, o non lo puoi più fare”), del mestiere dell’attore durante il lockdown e commenta gli insulti ricevuti sul peso dopo una campagna pubblicitaria in cui scherza sulla ‘setta delle curvy’.

Un nonno presidente onorario della Corte dei Conti, un altro ammiraglio (come il padre) ed ex campione sportivo. “Per rendere fiera la mia famiglia sarei dovuta diventare medico, avvocato o catamarano – scherza – Per me fare l’attrice era pura lascivia. Mia madre mi diceva: non voglio che stai attaccata al telefono ad aspettare una chiamata”. E infatti, Michela Giraud non ha aspettato proprio nessuno. Il mestiere se l’è inventato da sola lungo la strada. Un canale YouTube da milioni di visualizzazioni (Educazione Cinica) una gavetta più che blasonata in televisione (da Colorado alla Tv delle Ragazze di Serena Dandini su Rai3) fino alla conduzione su Comedy Central. In mezzo il cinema, la radio, il web. L’attrice romana è in libreria con un libro (“Tea. Storia (quasi) vera della prima messia”, edito da HarperCollins) scritto a quattro, anzi, otto mani con Daniela Delle Foglie, Laura Grimaldi e Serena Tateo. E il 21 novembre arriva anche sul palco di 9Muse, l’evento in streaming lanciato dalla maga dell’imprenditoria digitale Veronica Benini, in arte Spora. Su Instagram la Giraud è seguita da 119mila persone ma quando la chiamano influencer si arrabbia. E si arrabbia ancora di più con chi definisce il suo lavoro “comicità in rosa”: “La mia è una comicità vera – ripete – sono io”.

Mai come quest’anno si è parlato di ‘politicamente corretto’: anche la stand-up comedy deve essere corretta?
“No. La sensibilità cambia ed è giusto stare al passo, ma per me la linea, il confine morale, è quanto uno si sente a proprio agio a parlare di certi temi. Io non parlo mai di temi che non ho affrontato, come le malattie o le violenze. Quando si arriva al black humor o alla satira politica bisogna avere così tanta intelligenza, nelle battute, da superare la gravità delle cose su cui scherzi. Più è spinosa la questione, più devi essere arguto: altrimenti sei solo uno spaccone che vuole giocare sulla parola ‘nero’ o ‘stupro’”.

C’è qualcosa su cui non si può scherzare? Per esempio la pandemia?
“No, basta farlo con intelligenza. Lo ha fatto Saverio Raimondo e anche io adesso sto scrivendo una cosa sul periodo del lockdown. Ma mi stupisce sempre questa cosa, sembra che ai comici si affidi il futuro del Paese: noi siamo dei guitti, dei giullari, noi diciamo quello che gli altri non hanno il coraggio di dire, non siamo delle guide morali”.

Tu sei mai stata accusata di essere stata ‘politicamente scorretta’ o di aver offeso qualcuno?
“Non una, molte. La mia comicità sembra alla portata di tutti, ma non è tagliata con l’accetta. Se sei intelligente la capisci, se ti devi ergere a giudice sul web perché hai una vita noiosa no. Prendi per esempio il video in cui scherzo sui vegani: mi sono arrivati insulti, minacce di morte. Per non parlare delle offese per il peso, o per la campagna che ho fatto per Persona di Marina Rinaldi: la gente mi scriveva che incitavo all’obesità perché scherzavo sulla taglia 46. E io rispondevo: ma lo hai visto almeno? Evidentemente no”.

La cosa singolare è che le attrici comiche spesso vengono criticate quando dimagriscono (come è successo a Katia Follesa e Rebel Wilson). Perché?
“Perché la comicità è ridere di sé, e uno ride di sé quando è ‘sfortunato’. Essere sovrappeso, per la nostra società, è una fragilità manifesta. E sulla fragilità manifesta la gente gode nel darti addosso. In uno sketch dicevo che paradossalmente è più accettabile essere un evasore fiscale piuttosto che una taglia 46. Il pubblico crede che, in qualche modo, l’immagine del comico gli appartenga. Quindi, quando lo vede dimagrire, si sente un po’ tradito. Ma il corpo appartiene alla persona che lo abita, e basta: sarebbe bene ricordarselo, prima di gettare le proprie frustrazioni addosso ai personaggi pubblici”.

Una volta hai detto che fare stand-up comedy in Italia è come essere campioni di bocce la sera in cui c’è la finale di Champions: è così?
“Non siamo ancora mainstream, al livello di fama in cui ti coprono d’oro o che non puoi uscire di casa. Sì, era così, però è vero che grazie alle serie tv e a YouTube la stand-up comedy si è conquistata un pubblico più largo: prima che chiudessero tutto io ho fatto diverse volte sold out. Poi è arrivato il dramma, e ora siamo tutti chiusi in casa”.

Tu come hai vissuto la chiusura dei teatri, era necessario?
“Io penso che si poteva fare in un’altra maniera. Ma non solo per i teatri, per molte altre cose. A questo punto, in questa situazione, direi che è necessario: ora possiamo solo adeguarci alle regole. Tutto però è figlio del fatto che non ci si è organizzati diversamente per tempo: questo vale per tutto, non solo per lo spettacolo”.

E ora che si fa, si va in scena in streaming?
“Sono onesta: in qualche modo noi ci dovremmo rialzare. Io sono per lo streaming laddove si tratta di dirette, chiacchierate, panel. Penso allo show Tutti a casa, penso a tanti felici esperimenti che i miei colleghi di stand-up stanno facendo. Poi, per quanto mi riguarda, ho sempre detto una cosa molto tranchant sulla stand-up in streaming”.

Cioè?
“Che piuttosto farei il falegname. E le mie abilità manuali sono assai scarse (ride, ndr). Io stimo molto chi riesce a farlo, perché significa che ha un controllo del suo monologo totale, ma per me è imprescindibile il rapporto con il pubblico. Resta il fatto che le cose adesso stanno così: ci dovremo adattare? Ci adatteremo”.

Studiavi Arte e poi hai preso un Master in Drammaturgia: quando è stata la tua prima volta sul palco?
“Non me la scorderò mai: era il saggio delle elementari, avrò avuto dieci anni. Eravamo tutti vestiti con i sacchi neri della spazzatura perché facevamo gli uomini primitivi. Io ero la prima ad entrare: “E l’alba del paleolitico, un milione di anni fa..”. Mi ricordo ancora la canzone” (E inizia a canticchiare…)

Hai capito lì che sarebbe stata la tua strada?
“Pensavo che non avevo alcun problema a farlo, che non ero agitata per niente. Però ho rosicato parecchio”.

Perché?
“Perché era un viaggio nel tempo, e quando siamo arrivati ai Romani io facevo Diana, che è praticamente la Melanie C delle dee, per paragonarle alle Spice Girls. Invece io volevo essere Afrodite, la più bella di tutte. Anche perché ero quella con più fidanzatini”.

E la stand-up quando è arrivata?
“Come tutte le cose che ti cambiano la vita, tu le mandi via. Io fino a 27 anni continuavo a fare ciò che fanno tutte le persone che non riescono ad avere uno sbocco lavorativo, cioè rompere le scatole alle cene attirando l’attenzione. Ho fatto molte cose, dalla chitarra ai corsi di francese, dalla danza classica alla salsa, quindi quando ho cominciato a recitare i miei pensavano fosse un altro corso di musica… C’è da dire che però, quando ho cominciato, mi sono sbrigata”.

Quand’è stato che hai detto: “Ce l’ho fatta, sono veramente una comica”?
“Quando mi hanno pagato per il mio lavoro, a Colorado. Però ce l’ho fatta no, non si dice mai”.

Nel giro di cinque anni, tra cinema web e tv, hai conquistato la tua prima conduzione (CCN “E il giornalismo scompare”) com’è andata?

“Mi ricordo che appena entrata in studio ho pensato: tutto bello, ma quando arriva Saverio? (Raimondo, che lo ha condotto per 5 stagioni, ndr) La situazione dovevo reggerla io, erano tutti lì per me, ci avevo lavorato tanto e non potevo fallire. E poi eravamo senza pubblico, il che era un bene ma anche un male”.

Il pubblico però ti seguiva, e molto: in tv, ma soprattutto sui social…
“Io ero disperata durante il primo lockdown, non ho problemi a dirlo. E in quel periodo, stranamente, ho avuto un’impennata di follower: non è che facessi nulla di particolare, però mi divertivo sui social e la gente mi seguiva. Molti mi hanno detto che li aiutava a viverla meglio”.

I tuoi miti? Modelli, icone, poster in cameretta?
“Francesco Totti e Vegeta di Dragonball. Nessuno lo sa, ma sono un’appassionata di manga, spendevo i miei risparmi in fumetti della Star Comics. E poi sgattaiolavo a vedere Serena Dandini in tv: pensa che colpo quando ho potuto fare La Tv Delle Ragazze. E poi amo Franca Valeri, mi strazia: una frase del suo libro Le Donne mi è rimasta in testa per giorni, e non è così facile attirare la mia attenzione”.

La politica invece entrerà mai nei tuoi pezzi?
“Io uso l’attualità come punchline, come un cappello per aprire i miei monologhi, ma la politica non è l’oggetto della mia satira: la mia idea di stand-up riguarda il mio vissuto personale. Io sono un’egocentrica, parlo di me e siccome non esco mai a cena con Salvini o con la Raggi… C’è anche da dire che in questo momento vediamo una grande livellatura tra politici e persone. Mi spiego: prima si faceva satira sulla figura del politico austero, come un Craxi, o divisivo, come Berlusconi. La Prima Repubblica è piena di queste figure molto forti, che la satira cercava di tirare giù: adesso che vuoi tirare giù? Sono loro stessi ad ‘abbassarsi’: c’è quello con felpa con i nomi delle città, quell’altro che ha le ‘bimbe’ su Instagram… è difficile tirarli più giù”.

Hai scritto un pezzo sul Messaggero in cui affronti “il grande elefante della stanza”, cioé la questione di genere. Ma perché nel 2020 si sente ancora la necessità di parlare di “comicità in rosa”?
“Capisco che i giornali devono trovare un titolo, ma il rischio è che si riducano le donne che lavorano e hanno successo a eccezioni, a delle miracolate. Certo, io ho ‘surfato’ su questo argomento, ma un conto è cavalcarlo, un altro esserne travolti. So perfettamente di essere all’interno di una bolla ‘felice, scolarizzata e attenta, ma la gran parte del Paese, la pancia, su queste cose è ancora più indietro. Per me la comicità è stata una grande chiave per affrontare questo tema, perché è la cosa più democratica che esista, e permettere di mettere avanti l’arguzia. Spesso si tende a vittimizzare le donne e a dare dei ruoli: o aggressive mangiauomini con la frusta, o vittime, o miracolate. No, siamo come tutti”.

Hai scritto un libro, hai fatto il cinema, la tv, la radio: cosa stai progettando per il futuro?
“Quello che ho fatto fino ad ora, ma a livelli più alti: un libro da sola, una serie tv, una prova da attrice drammatica. Magari in inglese!”

Se potessi chiedere al genio di esaudire un solo desiderio: il Festival di Sanremo o una serie tv su Netflix?
“Tutti e due. Voglio tutto, sia la serie che lo speciale comico che un film. So anche già con chi: Paolo Sorrentino”.

La foto dell’articolo è di Sara Sabatino per The Creative Brothers

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