Nella sua apparizione del 17 novembre al programma di Rai3 Agorà, Bruno Vespa presentando il suo libro Perché l’Italia amò Mussolini ha inanellato, accalorandosi, alcuni tra i più falsi luoghi comuni legati alla politica sociale del regime fascista:
“Lui (Mussolini) ha avuto un consenso enorme e lo ha avuto anche in Italia per le sue opere sociali, parliamoci chiaro. Mussolini ha fatto la settimana di quaranta ore: chi lo sa tra gli italiani che la prima settimana di quaranta ore l’ha fatta Mussolini? Non lo sa nessuno. L’Inps l’ha inventato Mussolini: quanti lo sanno? I contratti nazionali, anche quello giornalistico – i giornalisti erano pagati benissimo – c’erano tutti gli intellettuali antifascisti che stavano a libro paga del regime”.
Già il termine “consenso” riferito a un regime dittatoriale è improprio. Il consenso implica un’adesione spontanea e presuppone che sia misurato con una libera espressione di voto, circostanze al tempo non presenti. Su quali indicatori Vespa valuta che il consenso sia stato addirittura enorme non è dato sapere. Le dittature obbligano i cittadini al conformismo, unica via di sopravvivenza, e un cruccio di Mussolini è sempre stato quello di trasformare l’adesione passiva delle masse in adesione attiva utilizzando anche le leggi razziali come strumento per cambiare i comportamenti delle persone.
“L’Inps l’ha inventato Mussolini: quanti lo sanno?” Evidentemente non la sa neanche lui. Nel campo previdenziale, il regime pose semplicemente il suo marchio su strutture già presenti rinominando la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (nata nel 1919 sotto il governo liberale di Vittorio Emanuele Orlando) – e che già garantiva la pensione a tutti i lavoratori – con la nuova dicitura di Istituto nazionale fascista della previdenza sociale Infps che, per inciso, è diverso da Inps.
Dal momento che l’assistenza sociale favorisce la fidelizzazione dei cittadini al governo, perché non marchiare questi provvedimenti come fascisti? Volendo risalire più indietro, la storia delle prime parziali misure di previdenza sociale comincia nel 1895 con il quarto governo di Francesco Crispi.
Le leggi di assistenza sociale negli anni Trenta nulla devono a un’originale ideazione del fascismo, ma vanno viste come tentativo internazionale per mitigare gli effetti recessivi della crisi del 1929: provvedimenti di natura simile sono adottati negli Stati Uniti e nel resto dell’Europa.
La settimana di quaranta ore è introdotta nel 1934, viene sospesa nel 1936 per esser di nuovo reinserita nel maggio del 1937. Si tratta di un provvedimento valutato con interesse da una componente del mondo industriale (verso la quale Mussolini è particolarmente attento) e riprende esperienze statunitensi miranti a ridurre la disoccupazione. Si è trattato di una misura transitoria, in America come in Italia, dal momento che da noi, nel 1940, è di nuovo soppressa.
Va ricordato che tra il 1921 e il 1936 si assiste alla sensibile diminuzione della manodopera femminile nelle fabbriche, né è stato arrestato il declino delle piccole aziende del settore agricolo le cui culture pregiate (olio, agrumi), tradizionalmente rivolte all’esportazione, non potevano più avere accesso ai mercati esteri. Il blocco dell’emigrazione ha creato una non risolta pressione sul mercato del lavoro. Si sono allargate aree di sottoccupazione con lavoratori in nero che rimangono esclusi dalla previdenza sociale.
L’accentuazione dello sviluppo industriale nelle aree urbane dell’Italia nord-occidentale allarga il divario con le aree depresse. Il regime resta spettatore nei confronti dei contadini e dei disoccupati meridionali il cui disagio è riportato in termini allarmistici nei rapporti di polizia. Più in generale, il fascismo si dimostra incapace di realizzare politiche economiche strutturali (premessa a una reale diffusione del benessere) nonostante disponga delle leve di comando per poterle attuare.
L’espansione della spesa pubblica che si registra dal 1934 al 1940 più che essere animata a sollevare le condizioni della popolazione è collegata alle ambizioni belliche del regime. Per chi desidera approfondire le politiche del fascismo con una lettura veloce, ma puntuale, si guardi il libro di Francesco Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (Bollati Boringhieri, 2019).
Su una cosa Bruno Vespa ha ragione: i giornalisti erano ben pagati… a patto che si prestassero ad essere cassa di risonanza del regime, in caso contrario si veniva radiati dall’albo e condannati alla fame. Ci si potrebbe anche chiedere quale concezione abbia del giornalismo il signor Bruno Vespa.