Diritti

“Solo pasta e riso. Niente colazione, i biscotti li davo a mia figlia”. Così il primo lockdown ha amplificato la povertà alimentare

Secondo il Banco Alimentare, le persone in difficoltà sono passate da 1,5 milioni a 2,1 milioni in pochi mesi. L'incremento medio delle richieste di aiuto è stato del 40%, con picchi oltre il 60% al Sud. A Corsico l’associazione La Speranza ha distribuito pasti e cibo. ActionAid ha distribuito questionari alle famiglie beneficiarie: il 76% ha dovuto saltare interi pasti. Il 45% non sapeva di poter chiedere i buoni spesa e metà di quelle che hanno fatto domanda non li hanno avuti a causa dei criteri di esclusione rigidi

“La mattina non facevo mai colazione. Se avevo un po’ di latte e di biscotti li davo a mia figlia”. Rosa (nome di fantasia) viene da Santo Domingo ed è in Italia da quasi dieci anni. Vive a Corsico, nel Milanese. Badante, durante il lockdown si è ritrovata senza lavoro ma con l‘affitto da pagare e la spesa da fare. Anche lei, come molte persone, è stata vittima della povertà alimentare. “È una condizione che si può descrivere come l’impossibilità di permettersi un pasto con carne, pollo, pesce (o equivalente vegetariano) ogni due giorni”, spiega Roberto Sensi, policy advisor on Global inequality per ActionAid Italia. Durante il lockdown primaverile ha coinvolto un numero crescente di famiglie: secondo i dati di Banco Alimentare, che fra poco avvierà la sua campagna annuale di colletta per i bisognosi, le persone in difficoltà sono passate da 1,5 milioni a 2,1 milioni in pochi mesi.

L’incremento medio delle richieste di aiuto al Banco è stato del 40%, con picchi oltre il 60% nelle regioni del Sud. “Ma anche con punte locali al Nord. In alcuni casi si è vista un’impennata del 300% rispetto a prima”, spiega Giovanni Bruno, presidente di Banco Alimentare. “Una mensa di Milano che prima aveva 60 assistiti ora ne conta oltre 130. Siamo preoccupati per le prossime settimane, ma lo siamo da sempre. C’è una classe media, già debole, che si sta sempre più impoverendo. Prima riusciva a vivere con il proprio lavoro, ora non più”.

E’ quello che è successo a Rosa: pasti saltati e quasi niente proteine per i mesi in lockdown. “Solo pasta, riso, latte”, dice. Lo stesso racconta Nunzia, a Corsico da 12 anni, con figlio a carico, in cassa integrazione: “Ho mangiato pasta per settimane, condendola con qualunque cosa avessi. Il pane lo compravo, perché farlo in casa non mi conveniva. Il forno acceso peggiorava le bollette, e dovevo pagarle”. Frutta e verdura? “Quasi mai”. Uova? “Solo se in offerta”. Merende per suo figlio? “Neppure”. Poi per Nunzia e per Rosa è arrivato l’aiuto dell’associazione La Speranza che ha distribuito pasti e cibo, freschi e non. “Una volta al mese mi arrivava il pacco con prodotti a lunga conservazione, una a settimana quello con i freschi. Mi hanno salvato”, racconta Rosa. “Mi portavano tonno e pelati, prodotti che io non avevo in casa da due mesi”, ricorda Nunzia.

Come loro molti altri. ActionAid ha preso in considerazione quei nuclei familiari che a Corsico ricevevano già sostegno da La Speranza e ha misurato l’impatto lasciato dal lockdown. In sintesi: la povertà alimentare è peggiorata e rischia di aumentare ancora. “Abbiamo somministrato un questionario a 203 famiglie, chiedendo soprattutto quattro cose. Primo, quante volte hai dovuto saltare il pasto nei due mesi di blocco? Secondo, quanti pasti consumavi al giorno? Terzo, che tipo di pasto facevi? E infine una quarta domanda che cercava di sondare la conoscenza base sui nutrimenti”, spiega Sensi. Risultato: il 76,85% delle famiglie intervistate (in gran parte italiane) ha dovuto saltare interi pasti per mancanza di cibo. Solo per il 35% degli intervistati è successo meno di dieci volte durante i due mesi di lockdown, mentre per la grande maggioranza la frequenza è stata maggiore e ha toccato punte di 20, 30 volte in alcuni specifici casi. 137 famiglie su 203 (il 67,49%) inoltre hanno detto di non riuscire a garantirsi un pasto con proteine per due giorni consecutivi. “Succede anche perché, spesso, la qualità alimentare è percepita come un bisogno secondario rispetto ad altro, come il pagamento delle bollette o dell’affitto. Per i quali tra l’altro ci sono molti meno aiuti”, continua Sensi.

E i buoni spesa? “Per capire chi li ha usati abbiamo somministrato un altro questionario, in settembre, ricontattando le stesse famiglie che ricevevano aiuti dall’associazione La Speranza. Nel corso di pochi mesi (la prima ricerca è di giugno-luglio) il loro numero è cresciuto da 203 a oltre 300”. Già questo è un dato parlante. Secondo quanto monitorato da ActionAid, il 45% non era neanche a conoscenza dell’opportunità. In tutto 111 famiglie invece hanno fatto domanda, ma a ricevere effettivamente i buoni sono state 55. “Questo perché i criteri di esclusione erano molteplici e diversificati da ente a ente. Per esempio, la necessità di avere una residenza italiana escludeva chiunque avesse solo un domicilio. Oppure il reddito e l’Isee, a nostro parere troppo rigidi perché fanno riferimento a una situazione fiscale vecchia di almeno un anno e mezzo. Infine, la maggior parte delle persone non hanno ricevuto i buoni perché avevano già un’altra misura di sostegno al reddito”.

La carenza di cibo impatta inevitabilmente anche sulla qualità alimentare. Nessuna delle famiglie intervistate ha dichiarato di seguire le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale Sanità per una corretta alimentazione. Secondo quanto riscontrato da ActionAid, il 72% degli intervistati consuma tra zero e una porzione di verdura o frutta al giorno (Oms ne consiglia cinque). E solo due persone hanno dichiarato di fare cinque pasti giornalieri – colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena – sempre come indicati dall’Oms. “Quest’ultimo dato va chiarito. Molti di noi non fanno mai cinque pasti in un giorno, seppur di diversa portata. Ma spesso non lo facciamo per scelta, o perché nel corso della giornata siamo troppo impegnati per pensare di fermarci e mangiare qualcosa. Nel caso di queste famiglie è purtroppo diverso: non li consumano perché non ne hanno la possibilità”, prosegue Sensi. “Emerge, quindi, un problema di accesso economico al cibo”. Attenzione però: “Il problema non è solo di tipo quantitativo. C’è mancanza di cibo e va colmata, certo, ma non possiamo ignorare la qualità dell’alimentazione. Mangiare bene e cercare i nutrimenti necessari all’organismo non è un capriccio”.

Ora, con l’Italia divisa per zone e nuovi lockdown in corso, “il numero di persone bisognose crescerà in modo progressivo e ci preoccupa capire come raggiungerle. E poi ci allarma l’approvvigionamento di cibo, nel caso in cui dovessero esserci ulteriori strette”. Per uscire dalle maglie intricate della povertà alimentare, secondo ActionAid, è necessario agire in ottica sistemica e non emergenziale. “Vorremmo che nella legge di bilancio fosse istituito un fondo dedicato a questo tema. Serve rinforzare gli enti locali e territoriali, in modo tale da riuscire a raggiungere più persone”.