Economia

Gli agriturismi in ginocchio per la pandemia: “Incassi vicini allo zero, intanto gli animali devono mangiare e bisogna coltivare i campi”

Gite scolastiche, fattorie didattiche e fiere ferme, cerimonie azzerate, tassazione del cibo venduto in delivery più alta, stranieri assenti e l'impossibilità di programmare, intanto le spese corrono: un colpo che scuote un sistema con oltre 24mila strutture e che lo scorso anno ha generato un valore pari a 1,5 miliardi grazie a 14 milioni di presenze. “Per mestiere siamo abituati a tutto. Ma questo è qualcosa di molto più grande. E non possiamo programmare il Natale", dicono gli operatori del settore

Chi lavora la terra conosce gli imprevisti. Alluvioni, grandine, terremoti, semine andate male. L’imprevedibile è spesso consuetudine. “Per mestiere siamo abituati a tutto. Ma questo è qualcosa di molto più grande”. Cristina Scappaticci gestisce l’agriturismo Valle Reale, in provincia di Frosinone. La pandemia l’ha costretta prima a fermare e poi a ridurre tutte le attività della sua azienda, a conduzione familiare. Prima la chiusura durante il lockdown nazionale, ora le limitazioni dovute alla seconda ondata: “Per carattere non intendiamo rassegnarci e continueremo a lavorare, nonostante le difficoltà. La cosa più di difficile è la mancanza di programmazione: di solito sappiamo già come andrà il periodo natalizio, quest’anno per niente”.

Sarà un Natale anomalo quello alle porte. Niente cenoni e niente feste, ritrovi solo con parenti più stretti. Bene per ridurre la marcia dei contagi, male per il settore dell’agriturismo. Coldiretti calcola una perdita annuale pari a oltre un miliardo di euro, sommando le perdite dei mesi precedenti alle previsioni di incasso (ridotto se non nullo) delle festività. “L’agriturismo consente di organizzare ritrovi che coinvolgono tutta la famiglia, dai bambini agli anziani, perché abbiamo a disposizione ampi spazi”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Elisabetta Montesissa, responsabile Terranostra Campagna Amica, l’associazione agrituristica della Coldiretti. “Per esempio organizziamo la veglia di Natale nelle stalle, con gli animali. Sono tutti contesti in cui la numerosità dei partecipanti rappresenta il calore dell’evento. Quest’anno non potrà esserci nulla di tutto questo. Mancherà la condivisione”.

Secondo i dati raccolti da Coldiretti, già nelle prime due settimane di novembre più di 2 strutture su 3 (68%) sono state chiuse perché in Regioni rosse o arancioni. Un numero destinato a crescere proprio a seguito dell’aggravamento dell’emergenza sanitaria, peggiorata anche in territori considerati “gialli”, dove la ristorazione era consentita fino alle 18. Un colpo che scuote un sistema con oltre 24mila strutture e che lo scorso anno ha generato un valore pari a un miliardo e mezzo grazie a 14 milioni di presenze, di cui 8 milioni e 200mila provenienti dall’estero, secondo l’elaborazione Coldiretti su dati Istat relativi al primo gennaio 2020. Già i mesi primaverili sono stati difficili: perse Pasqua e Pasquetta, pranzi di matrimoni, cresime, comunioni, feste. I titolari hanno reagito con le consegne a domicilio, sia dei prodotti – da ricordare che l’attività principale per un agriturismo resta sempre l’agricoltura – sia dei pasti. Ma non sempre basta e non sempre serve, come racconta Filippo de Miccolis, titolare della Masseria Salamina, dalle parti di Fasano, in provincia di Brindisi: “La mia è una struttura storica che conta 2mila metri quadri con 20 camere e un ristorante. Siamo lontani dalla città e la distribuzione porta a porta dei prodotti per noi non funziona. All’opposto, è andata bene con l’e-commerce”. Pesa però il calo degli stranieri: “Di solito lavoriamo molto con loro. Fra giugno e luglio invece abbiamo registrato un crollo del 60-70%. Ad agosto e settembre ci siamo ripresi, e poi un’altra discesa. E dire che per noi novembre e dicembre sono mesi importanti, perché c’è l’olio nuovo. Di solito gli ospiti vengono apposta per assistere o partecipare alla raccolta, moltissimi dall’estero”. È preoccupato soprattutto per l’immobilismo di questi mesi: “L’autunno di norma è il tempo delle promozioni: fiere, incontri, e via così. Tutte cose che mancheranno. Di solito adesso si programmano gli eventi per l’anno prossimo. Ma per ora non si muove niente”.

Intanto però la campagna va avanti. A differenza di hotel e negozi, infatti, non chiude: “Abbiamo animali che devono mangiare, campi da coltivare. Non possiamo fermare i prodotti: siamo aziende agricole e per noi sono la base di tutto il lavoro”, spiega Elena Tortoioli, titolare dell’Agriturismo Il Podere di Assisi, in Umbria. La sua è una fattoria didattica rivolta in prevalenza ai bambini. Il Covid ha cancellato dal calendario tutte le gite scolastiche del 2020, e – dice Elena – lo stesso accadrà nel 2021. Il Natale ha poche luci: “Ci stiamo organizzando per la consegna del pasto, anche come regalo per i bisognosi. Però in un certo senso sarà un Natale che non ci sarà”. Oppure un “Natale take away”, come lo definisce Diego Scaramuzza dell’Agriturismo La Cascina, a Mestre. Anche lui ha cercato vie d’uscita nella consegna a domicilio: “Anche se per noi il delivery non è conveniente. Ha una tassazione del 22%, più del doppio di quella del pasto al tavolo pari al 10%”. Il peggio è rischiare di buttare via prodotti derivanti dal lavoro di mesi e mesi: “Seminare, irrigare, piantare: per nulla. Io la definisco una pena d’inferno. Per non sprecare abbiamo aperto un piccolo punto vendita in azienda e vendiamo prodotti da forno nei mercati coperti di Coldiretti”. Anche in Veneto il Natale non promette bene, e Scaramuzza precisa: “Per noi Natale significa dall’8 al 31 dicembre, considerando non solo le feste ma anche le cene aziendali”.

C’è poi chi oltre al Covid ha dovuto affrontare tempeste precedenti. Stefania Grandinetti, proprietaria dell’Agriturismo Le Piagge, nell’alto Monferrato (Piemonte) ha chiuso la sua attività – azienda agricola e fattoria didattica – il 23 novembre per colpa di un’alluvione. L’ha riaperta il 14 febbraio, per poi richiuderla poco dopo causa pandemia. “Per capirci: l’anno scorso ho fatturato 143mila euro. Quest’anno 40mila”, spiega. “E dire che in agosto c’è stata una bella ripresa, ma i fatti precedenti (l’alluvione e la pandemia) mi hanno costretta a lasciare a casa il personale e mi sono ritrovata da sola a gestire tutto. Ho potuto accogliere solo la metà delle richieste. Mi hanno aiutata i miei figli”. Anche lei, come gli altri, ha risposto alla crisi lavorando: “Abbiamo unito le forze io e un’altra azienda del posto, poco distante da me. Dividiamo la manodopera e svolgiamo insieme diverse attività, dai mercati di Campagna Amica alle consegne a domicilio. Da soli non ce l’avremmo fatta, insieme sì. Non guadagniamo, ma riusciamo a sopravvivere”.

Senza gli stranieri e senza le attività scolastiche, è rimasto il turista italiano. “Che ha riscoperto l’Italia, fra gastronomia, biodiversità e piccoli borghi. Però non è abbastanza per compensare la perdita”, spiega Elisabetta Montesissa di Campagna Amica. Per uscire dalle maglie di questo periodo, qualcuno vorrebbe una detassazione complessiva ai ristoratori. Qualcun altro incoraggia il turismo esperienziale, quello cioè che permette di vivere specifiche esperienze tipiche di un territorio. Per altri ancora c’è da valorizzare la campagna come luogo sicuro dove passare il tempo. A tutti, però, manca la programmazione: un’abitudine andata persa, da ritrovare.