Almeno 8 persone sono state uccise in una serie di forti esplosioni che hanno scosso il centro di Kabul, inclusi diversi razzi che sono atterrati vicino alla Zona Verde, dove hanno sede molte ambasciate, il palazzo presidenziale e società internazionali. Le esplosioni si sono verificate in zone densamente popolate della capitale afghana in una continua ondata di violenza che ha investito Kabul. L’attentato è stato rivendicato dall’Isis.
Nell’area occidentale di Kabul vivono diverse comunità della minoranza sciita hazara e sono spesso tra gli obiettivi dei miliziani sunniti dell’Isis. L’affiliata afghana dell’Isis si definisce la “Khorasan Province”, in riferimento ai territori dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Asia centrale che formavano l’omonima regione ai tempi del Medioevo. Oggi conta migliaia di combattenti, che provengono principalmente dall’Asia centrale, ma anche da Paesi come la Cecenia, l’India e il Bangladesh.
L’organizzazione terroristica è particolarmente attiva nelle province di Nangarhar e Kunar, ma ha la forza di effettuare attacchi anche a Kabul. L’emiro fondatore dell’IS-K, Hafiz Saeed Khan, è stato ucciso da un attacco aereo degli Stati Uniti nella provincia di Nangarhar. Stessa sorte è toccata ai tre emiri successivi. I combattenti del presunto Stato Islamico inizialmente istituito tra Iraq e Siria, sono in cerca di nuovi territori da occupare per portare avanti il piano di restaurazione del califfato.
E tra le zone più promettenti oltre l’Africa su cui hanno acquisito una serie di territori, c’è sicuramente l’Afghanistan. La continua instabilità politica favorisce infatti l’inserimento dei nuovi combattenti jihadisti, che vengono però respinti anche dai Taliban che considerano Kabul ancora la propria capitale. L’Isis è entrato dunque in scena cercando di portare a termine attacchi contro il governo locale.
I Taliban si sono impegnati a non attaccare le aree urbane secondo i termini di un accordo di ritiro degli Stati Uniti. Infatti i Taliban e i negoziatori del governo afghano hanno avviato colloqui di pace a Doha a settembre, ma i progressi sono stati lenti. Finora i Taliban hanno ottenuto tutto ciò che volevano, sia dagli Usa sia dal governo afghano. Il loro obiettivo primario era la fine dell’occupazione mentre l’altro, quello di delegittimare il governo di Kabul, è conseguito dall’accordo bilaterale Usa-Taliban. Probabilmente i Taliban ritengono di potere passare all’incasso, ottimizzando il controllo territoriale su una parte del Paese.
Il fronte istituzionale caratterizzato dai rappresentanti del governo, dell’opposizione, della società civile è diviso al proprio interno, riflesso di quell’antagonismo culminato attorno al duello tra Abdullah Abdullah e il presidente Ghani. Una guerra nella guerra insomma. Da un lato i Taliban contro il governo legittimo afghano e dall’altra il governo contro l’Isis/Khorasan che cerca di conquistare terreno. Il Pentagono ha dichiarato che presto ritirerà circa 2.000 truppe dall’Afghanistan, accelerando la tempistica stabilita in un accordo di febbraio tra Washington e i Taliban che prevede un ritiro completo degli Stati Uniti a metà del 2021.
Negli ultimi sei mesi la scia di sangue non si è arrestata tanto che i Taliban hanno effettuato 53 attacchi suicidi e 1.250 esplosioni provocando la morte di 1.210 civili e 2.500 feriti, così come dichiarato dal portavoce del ministero dell’Interno Tariq Arian. Kabul è da tempo terra di tutti e di nessuno. Gli uomini di governo restano protetti nelle proprie roccaforti, si spostano su mezzi blindati statunitensi e viaggiano volando da una base aerea Usa a un’altra. Il regime è ormai disciolto in un Paese instabile sempre più obiettivo dello Stato Islamico del Khorasan che continua a lanciare segnali forti.