Vittima, carnefice, colpa e responsabilità individuale. Solo se riusciamo a mettere in asse questi termini per leggere i fatti denunciati dalla 18enne abusata riusciremo a ristabilire un punto di discussione che faccia a meno delle tante panzane, pseudodiagnosi e assoluzioni mediatiche che stanno proliferando in questi giorni.
Sgombriamo subito il tavolo da un equivoco: la cocaina non rende stupratori, come non tramuta un individuo in ladro, in picchiatore o in rapinatore. Più semplicemente assolve allo scopo di massimizzare e rendere accessibili pulsioni, a volte violente, che già albergano in lui. Nella mente di alcuni individui con tratti sadici si annida l’idea di un controllo radicale dell’altro degradato al rango di oggetto. Laddove tale controllo mentale non riesce, come ad esempio succede all’interno delle sette, può sfociare in una manipolazione fisica. Per portare a termine i propri disegni predatori si anestetizza il corpo della vittima privandola di volontà e di parola, instaurando su di essa un dominio totale.
Il soggetto perverso conosce bene i limiti della legge, e ne ha timore, in quanto è proprio la legge che può interrompere la sua ricerca sfrenata di prede delle quali abusare. Le strutture amorali esistono da sempre, e vestono gli abiti del vicino, del datore di lavoro, dell’amico di famiglia. La droga è in molti di questi casi un propellente consumato per poter raggiungere quell’illimitato al quale il perverso aspira, e che in casi così estremi è difficile da raggiungere senza ottundere la mente. Dunque la frase “voglio disintossicarmi (…) quando mi drogo perdo il controllo e non riconosco il confine tra quello che è legale e quello che non lo è” potrebbe anche essere letta in senso opposto: io avverto assai nitidamente ciò che è lecito e illecito, e l’uso della cocaina, che avviene per libera scelta, serve proprio per abbattere le residue reticenze a valicare il confine del consentito.
Gabbare la legge prevede una pianificazione lucida e mai casuale, l’instaurazione di una zona franca ove tutto è permesso per il proprietario. Non è dunque un caso che, come le cronache riportano, la scena della presunta violenza sia stata allestita mettendo a guardia della porta un buttafuori. La clinica insegna che l’uso continuativo della cocaina può slatentizzare delle strutture psicotiche sottostanti ridimensionabili, in alcuni casi, interrompendone l’uso. Ma nell’agire di personalità predatorie essa costituisce un doping per infrangere limiti inconfessabili, un uso di un additivo inquadrabile sempre e comunque nella prospettiva di una scelta fatta a monte, un percorso pre-pianificato.
La ragazza riferisce di essere bersagliata da flash che la obbligano a rivivere la scena, e descrive il baratro del disturbo da stress post traumatico al quale vanno incontro molte vittime di violenza sessuale, come qua ho approfondito.
Il ritorno ad un vita normale, l’elaborazione della violenza patita sono processi spesso invalidati dalla prevalenza simbolica del carnefice nel sociale. Si tratta di quella condizione particolare nella quale le parole, le gesta e le azioni dell’abusatore godono di un sostegno e un rinforzo tali da metterne in ombra le responsabilità. Il presunto stupratore è stato descritto dalla stampa come “un vulcano di idee e progetti che, per il momento, è stato spento”. Pertanto una donna accusata da più parti di “essersela cercata” deve combattere non solo con le insidie del Dpts, ma anche difendersi dal sistematico discredito della sua parola.
Questo stato delle cose è figlio di una cultura ove il ‘padrone’, in qualunque forma lo si intenda declinare, ha ancora una sorta di potere sconfinato attribuitogli da una società che concede alla ricchezza il capriccio, il sopruso e la sopraffazione come elementi secondari e tollerabili in nome dell’ammirazione e della devozione tributata a chi ha le tasche gonfie.
Nella mia provincia diverse vie e intere zone sono titolate a ricchi signorotti del passato, tramandati come benefattori e illustri fondatori di ricchezze. Si trattava in realtà di latifondisti che tenevano mezzo paese nella morsa della mezzadria, oggi osannati come padri integerrimi. Tra questo uno soleva andare in piazza, alla domenica, e se trovava uno dei suoi mezzadri gli intimava di tornare alla cascina.
La legge deve in questo caso porre un confine netto tra abusatore e abusato. Come ho scritto in questa rubrica, in molti casi l’impunità del carnefice determina uno stato di paralisi della parola della vittima, creando una situazione di afflizione nella quale la violenza si ripete all’infinito, senza mai liberare chi ne è stato oggetto. Nelle frasi di tante donne oggetto di abusi di uomini adulti che hanno subito gli appetiti di orchi incontrati nell’infanzia risuona costante un motivo: ‘Ho potuto finalmente rinascere quando chi mi ha fatto del male è stato condannato’. Quando cioè un’istanza ha posto fine a quella drammatica situazione opaca di presunzione di innocenza del reo, spazzando via quella patina di dubbio che annichiliva ed emarginava l’abusato.