Tra poche settimane papa Francesco compie 84 anni e non da oggi si agitano dietro le quinte le manovre per la sua successione. Non sono speculazioni astratte. Lo dicono persone autorevoli come il cardinale tedesco Walter Kasper, suo grande elettore al conclave del 2013, o padre Arturo Sosa generale della Compagnia di Gesù. C’è una fetta di mondo ecclesiastico a cui questo papa non piace, c’è uno schieramento tra vescovi e cardinali che vuole influire sul prossimo conclave e preme per impedire che sia eletto un continuatore della sua linea di rimodellamento della Chiesa, della Curia, del modo stesso di intendere la testimonianza di fede nel XXI secolo.
Le motivazioni che animano il fronte conservatore sono varie e spaziano da argomenti teologici a posizioni politico-economiche. Ma c’è un elemento di propaganda anti-Bergoglio, che è particolarmente insidioso e che viene ripetuto senza sosta dietro le quinte. Francesco, in fondo, sarebbe un pontefice “inconcludente” che disorienta i buoni cattolici e suscita maggior seguito tra gli estranei e gli esterni alla Chiesa che tra i fedeli. Le cose stanno davvero così?
Un recente sondaggio di Ilvo Diamanti sconfessa questo stereotipo propagandistico. Se infatti il consenso generale in Italia per papa Bergoglio si mantiene tuttora alto, intorno al 70 per cento, le cose cambiano se si focalizza l’attenzione sul “popolo della messa”: la parte di fedeli che resta attaccata alla tradizione del rito domenicale e non ha interrotto il collegamento stabile con la propria parrocchia.
Diamanti ha posto la domanda “Quanta fiducia prova nei confronti di papa Francesco?” a coloro che ogni settimana o comunque quasi ogni domenica vanno a messa. E la riposta è che il 91 per cento dei cattolici praticanti interrogati ha espresso la sua “fiducia” in Francesco. Una percentuale persino più alta del consenso eccezionale (88 per cento) che Bergoglio registrò nel 2013, l’anno della sua elezione.
Fiducia è una parola particolare, rivela un atteggiamento di affidamento che supera la concordanza meramente intellettuale. Significa che ci si fida della guida al di là di alti e bassi e persino di errori che possono capitare strada facendo. Significa fidarsi della direzione intrapresa e della sincerità di chi procede. E’ questo il capitale che Francesco sembra avere accumulato in questi anni.
Il 2020 non è stato un anno facile. Ma ci sono tre fattori cruciali che in questo periodo hanno rafforzato la figura simbolica del pontefice argentino. Il primo riguarda la capacità di guida spirituale, che è riuscito ad assumere nel momento in cui è esplosa la pandemia di coronavirus, quando ha negato la visione della “peste” come giudizio di Dio, sostenendo al contrario che è il momento per gli uomini e le donne del XXI secolo (credenti o meno) di giudicare che tipo di società e di convivenza – solidale o meno – intendono scegliere (su questo argomento ho recentemente pubblicato un volume Francesco, la Peste, la Rinascita, Editore Laterza).
Il secondo fattore è recente. Riguarda l’allontanamento del cardinale Angelo Becciu dal collegio cardinalizio. Gli inquirenti vaticani stanno ancora faticando a sbrogliare la matassa di investimenti sbagliati e malversazioni, rapporti con mediatori opachi, favoritismi familistici, incarichi di missioni segrete a personaggi improbabili come Cecilia Marogna – ma Bergoglio è andato dritto al cuore dell’opinione pubblica nel momento in cui ha stabilito che Becciu non meritava di continuare tranquillamente a sedere nel “senato della Chiesa”.
E’ stata una rottura con l’atteggiamento inveterato di lasciare che personalità responsabili di scelte molto discutibili continuassero a rivestire la porpora nelle grandi cerimonie. Questo strappo l’opinione pubblica l’ha colto immediatamente.
Ancora più netto e condiviso è stato il terzo gesto di Francesco, recentissimo. La pubblicazione del molto più che esauriente rapporto sul cardinale (anche lui ex, perché cacciato dal pontefice) Theodore McCarrick. L’opinione pubblica ha compreso perfettamente che papa Bergoglio non ha avuto timore di portare alla luce le responsabilità di Giovanni Paolo II e del suo entourage nel promuovere ai massimi onori un vescovo che non ne era degno e la responsabilità di Benedetto XVI (come già avvenne con il fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel) nel non avere aperto un processo ecclesiastico nei confronti di McCarrick.
Sta in questa trasparenza di condotta, in questa chiarezza di linea (nonostante gli zig zag cui a volte Bergoglio è costretto dalla guerra civile in corso nel cattolicesimo), il motivo del capitale di fiducia che papa Francesco sembra avere accumulato tra i cattolici praticanti come anche tra tanti non credenti.
Domenica scorsa all’Angelus il pontefice argentino ha ribadito ancora una volta cosa significa stare “dalla parte delle pecore”. Non è questione di dottrina, non è questione di sentimenti astratti. Molto concretamente il cristiano sarà giudicato dalla “compassione che si fa vicinanza e aiuto premuroso. Mi avvicino ai malati, ai poveri, ai sofferenti? E’ la domanda di oggi”.
Così diventa più complicata la partita del prossimo conclave. Non si tratta infatti, per gli oppositori, di individuare semplicemente un candidato che metta il freno alla linea intrapresa dal pontefice argentino. Si tratterà di trovare una persona che si presenti al mondo con un’aura di fiducia altrettanto consistente. E questo non è facile.